I
fratelli Tsarnaev, Tamerlan e
Dzhokar alias Jahar, sono i responsabili degli attentati al traguardo
della maratona di Boston in occasione del Patriots Day, 15 aprile
2013. Tamerlan è morto in seguito alle ferite subite nel corso di un
conflitto a fuoco con la polizia, quattro giorni dopo. Dzhokar è
stato arrestato, processato e condannato alla pena di morte. Dalla
scia di sangue che si sono lasciati alle spalle in poi, la
ricostruzione di Masha Gessen è davvero scrupolosa e dettagliata e
non cerca di generare nella storia dei fratelli ceceni delle
motivazioni o delle attenuanti (non ce ne sono) ma compie uno sforzo
in due diverse direzioni: capire da dove sono partiti, e dove sono
arrivati. Nel Daghestan ci si stupisce se qualcuno spegne la
sigaretta mentre rifornisce di metano la propria auto, e “il
semplice fatto di vivere” in una “condizione premoderna”, con
un conflitto in corso, è una spinta sufficiente per migrare e “per
trovare un posto migliore”. La famiglia Tsarnaev ha sempre
assecondato quell’istinto alla partenza e Masha Gessen, lei stessa
figlia americana dell'immigrazione, ricorda che “non si descrive
mai il modo in cui la vita quotidiana perde colore perché nulla è
familiare, il modo in cui la concretezza del vivere sembra svanire.
Non si dice neanche una parola sul fatto che non sai più chi sei,
dove stai andando, con chi e perché e il timore esistenza senza pari
di questa condizione. Soprattutto, non si torna mai sulla propria
decisione: dal momento in cui passi il confine, c’è solo il
futuro”. Proprio in quel senso, cercando di delineare I
fratelli Tsarnaev svela uno dei nodi
principali all’origine dell’alienazione: “Le famiglie di
immigrati spesso patiscono una sorta di inversione: i bambini
smettono di essere bambini, perché gli adulti hanno perduto il loro
ruolo. I bambini non diventano adulti competenti dall’oggi al
domani; attraversano un periodo di intensa sofferenza e sradicamento,
tanto più doloroso in quanto obbligato e inatteso. Ma all’altro
capo del dolore individuano il loro ruolo e lo assumono rivendicando
il loro posto nel nuovo mondo”. Quando l’idea di “far parte
della squadra” si sgretola nella convivenza con le contraddizioni
della società americana, gli “outsider in mezzo ad altri
outsider” tendono a riprodurre la violenza come l’hanno vista e
vissuta. Forse più che la radicalizzazione (religiosa o politica) è
lo sradicamento a determinare la sequenza, ma le analisi rimangono
sullo sfondo di quella che è davvero Una
moderna tragedia americana e Masha
Gessen non lo nega: “La storia che cercavo di raccontare non
parlava di grandi cospirazioni e neanche di enormi esempi di
ingiustizia. Le persone che hanno un ruolo chiave in questa storia
sono poche, le idee che coltivano sono semplici e i piani che
elaborano sono tutt’altro che lungimiranti. Era il tipo di storia a
cui è più difficile e spaventoso credere”. La paura che deriva
dal dolore, dallo shock, dalla brutalità delle esplosioni è
altrettanto pericolosa perché le limitazioni alle libertà decretate
dalle esigenze di sicurezza (di fatto, la legge marziale imposta
durante la caccia ai fratelli Tsarnaev) sono l’anticamera di uno
stato in guerra, ovvero l’unico, vero momento in cui le distanze
tra America e Daghestan si sono azzerate. A saldo delle (immancabili)
teorie del complotto, di qualche legittimo dubbio, l’humus è
quello descritto dall’antropologo Scott Atran: “Mentre la
globalizzazione economica ha schiacciato o lasciato da parte una
larga fetta dell’umanità, la globalizzazione politica coinvolge
attivamente le persone, quale che sia la loro società e il loro
percorso di vita, anche le vittime dell’economia globale: profughi,
migranti, emarginati e coloro che vedono maggiormente frustrare le
proprie aspirazioni. C’è infatti, accanto a un mondo piatto e
fluido, un mondo più tribale frammentario e divisivo, poiché le
persone strappate a tradizioni e culture millenarie galleggiano in
cerca di un’identità sociale che sia individuale e intima, ma
nello stesso tempo dia il senso di uno scopo più grande e una
possibilità di sopravvivenza al di là della dolorosa e passeggera
quotidianità”. In questo limbo, la dimensione che spinge il
ricorso alla violenza non è nemmeno lontanamente ideologica o
filosofica, perché, come ha capito Masha Gessen con I
fratelli Tsarnaev “essere nati nel
posto sbagliato nel momento sbagliato, come capita a molte persone,
non sentirsi mai inseriti, vedere sfumate tutte le occasioni, anche
quelle apparentemente a portata di mano, finché l’occasione di
essere qualcuno finalmente, quasi casualmente, si presenta”. Come o
con quale prezzo da pagare, a quel punto, non è più importante. Un
libro lucido, coraggioso, scomodo.
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