Raymond
Carver è il suo mondo e allora cosa si può trovare nelle fotografie
di Bob Adelman che non c’è nelle sue storie? Da Yakima a Port
Angeles, Carver Country è tutto un paesaggio d’acqua: i
fiumi, le dighe, i ruscelli, i laghi sono una presenza costante,
insistente tanto che nella corrispondenza con Bob Adelman, Raymond
Carver scrive: “Sarei in grado di mettere una didascalia o di
scrivere qualche riga su ogni punto di quel fiume che tu volessi
fotografare”. In realtà le indicazioni di Raymond Carver a
Bob Adelman sono tutt’altro che precise, visto che deve frugare
nella memoria in cerca di luoghi e tormenti che si è lasciato alle
spalle e la sua immagine da bambino con canna e lenza, all'inizio di
Carver Country riporta a quello che diceva Thomas McGuane: “La
pesca è una situazione in cui le valenze emotive sono immediatamente
dipendenti dal loro contesto”. Con tanta di quell’acqua a due
passi da casa (e qui parafrasando un titolo da Di cosa parliamo
quando parliamo d’amore) la vicinanza non ha nulla di mistico,
metafisico o ecologico, ma deriva da un legame intimo e delicato, a
cui in effetti risponde Carver Country perché per Raymond
Carver vale ancora la precisazione di Thomas McGuane: “La pesca mi
ha innanzitutto insegnato a osservare i fiumi. Ora mi sta insegnando
a osservare le persone, me compreso”. L’acqua è l’elemento
determinante degli anni felici di Raymond Carver e Carver Country
riesce a raccontare un crepuscolo intenso e fortunato, che forse
soltanto le immagini potevano mostrare. Un mondo semplificato e
concentrato su pochi amici sorridenti (Richard Ford, Ann Beattie e
Jay McInerney tra gli altri), una gamma selezionatissima di
interessi, l’essenza della scrittura che, tra “un po’ di
autobiografia e un sacco di immaginazione”, trova e mostra in
Carver Country quei “punti di riferimento nel mondo reale”
che Bob Adelman identifica in una cassetta della posta, nelle mani
nere di uno spazzacamino, nell’impronta dentale di Tess Gallagher,
in un’insegna, in un dipinto di Alfredo Arreguin, nella sua
macchina da scrivere (da tutte le prospettive), in uno o due
taccuini, nella neve, nella musica creata dai torrenti, nei volti. La
luce, il bianco e nero, le geometri nitide dimostrano che Bob Adelman
ha capito quello che Raymond Carver diceva in Il mestiere di
scrivere: “In una poesia o in un racconto si possono descrivere
cose e oggetti comuni usando un linguaggio comune ma preciso e dotare
questi oggetti, una sedia, le tendine di una finestra, la forchetta,
un sasso, un orecchino, di un potere immenso, addirittura
sbalorditivo”. E’ per quello che, anche se Carver Country
funziona come una spicciola antologia con frammenti editi e inediti,
la sensazione, fotografia dopo fotografia è, come diceva Tobias
Wolff in La nostra storia comincia, quella di sentire “il
rumore di qualcuno che si muove per la casa, un estraneo”. Bob
Adelman si è introdotto proprio così nel Carver Country, con
la discrezione di un’ombra al tramonto, con lo scrupolo di un
topografo e con la percezione precisa e insieme sfuggente del dettaglio di un songwriter,
concentrando sulla pellicola quella definizione dei racconti di
Raymond Carver che, secondo Marylinne Robinson, “creano significato
per tramite della forma”. L’intensità dello sguardo di Raymond Carver, dietro la sigaretta, dice tutto. Il viaggio è negli occhi, lo
è sempre stato.
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