Attore,
più che scrittore, capace di esprimere un ritmo serrato e
sferragliante nei monologhi poi riportati in Sesso e morte fino a
14 anni, irriverente e caustico, Spalding Gray costruisce un
linguaggio colto, sboccato, ironico e amaro nello stesso tempo. Si
ispira a Wallace Stevens, racconta Dallas e Dynasty,
coltiva la passione per i grandi jazzisti (Art Blakey, Gerry
Mulligan, Dizzie Gillespie), va a sentire Lou Reed con Sam Shepard,
soprattutto usa la sua vita privata come veicolo primordiale delle
sue storie perché “funziona così: ogni cosa che fai, devi dire:
io sono uno che prende questa cosa, io sono uno che... Alla fine, sta
scritto, raggiungi una sorta di distanza liberatoria, o quel che è,
invece di una distanza estetica”. In quella che Spalding Gray
chiama “una storia orale in fieri” sfilano le ossessioni, le
idiosincrasie, i dubbi, la verve di “uno a cui le storie saltano
incontro e restano appiccicate addosso. Sono tutte lì fuori, che
spingono per entrare. Ognuno di noi esiste in un tessuto di storie
personali. Tutta la cultura, tutta la civiltà non sono altro che
un’ingegnosa trama, un puzzle messo insieme dall’uomo, il
patchwork variopinto che ricopre una natura cruda e indifferente. Per
questo, quando un albero cade nella foresta, non mi chiedo se
qualcuno sentirà lo schianto. Ma piuttosto: chi lo racconterà?”
La domanda è legittima, fermo restando che non sempre il resto del
mondo è lì ad aspettare di essere condotto alla scoperta della
bellezza. Ecco il vademecum stilato dall’assistente di Johnny
Carson, il conduttore del The Tonight Show, dopo che Spalding
Gray gli ha raccontato una delle sue iperboli comprendente Molière,
l’erba e altre piccole passioni adolescenziali: “Ah, questa sì
che è bella. Però cerca di non usare parole come misantropo.
Johnny detesta il teatro. Ricordati che reciti davanti a spettatori
neanche tanto intelligenti che chiedono solo di addormentarsi beati.
Non fare tutti ‘sti voli pindarici. Un po’ hai la mano leggera,
un po’ hai la mano pesante, non sei granché come editor di te
stesso. Ma le tue storie sono buone. Ne hai altre?” Il paradosso,
non raro nella sua vita, nella sua arte e in tutto Sesso e morte
fino a 14 anni, è che in qualche modo sembra persino
Spalding Gray sembra convenire, pur sempre a modo suo: “Il loro
senso della storia riguarda solo il passato. L’oggi non è storia.
Sull’oggi non c’è nulla da dire. Sono contenti di avere un
lavoro, tornare a casa la sera, guardare la televisione, andare a
letto, non sognare nulla”. L’episodio, per quanto emblematico,
non è l’unico: tutto Sesso e morte fino a 14 anni è un
tourbillon di aneddoti, un flusso di coscienza inarrestabile, uno
scoppiettante almanacco di battute, titoli, calembour, citazioni e
dove l’introspezione si sovrappone alla comicità, con una punta di
malinconia. Scriveva infatti Spalding Gray nell’introduzione a
Sesso e morte fino a 14 anni: “L’intero processo di
mettere per iscritto queste storie è stato per me estremamente
salutare, tanto che mi ha proiettato in avanti. E sebbene ciò non
significhi che un futuro esiste, mi ha dato almeno una direzione in
cui muovermi, dietro quel futuro che vedo in fuga davanti a me”.
Quasi un presagio, o persino un esorcismo contro un destino segnato,
da cui infine ha voluto fuggire con un ultimo sberleffo, scomparendo
nel nulla, una notte dell’inverno del 2004.
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