In risposta a giorni sempre più
confusi e isterici, i Saggi della foresta di Ralph Waldo Emerson tracciano ancora un solco alternativo e coraggioso,
né allineato né omologato. E’ solo la forza del pensiero, in definitiva, che
può distinguere la realtà dalla percezione della realtà, propagando un’idea di
“elevazione”, il tentativo che si propone Ralph Waldo Emerson chiamandolo
“l’incantesimo della sincerità, quel lusso permesso solo ai re e ai profeti”.
La trascendenza non è una religione, anche se nei suoi concetti assertivi può
somigliare alle peculiarità di una fede, e nemmeno un istituto filosofico.
Magari gli si avvicina parecchio perché un’attitudine al pensiero con alcuni
leitmotiv ribaditi con insistenza, come per definire con chiarezza un confine. L’uomo,
la natura, il silenzio, “l’indipendenza della solitudine”, al centro di tutto
perché “credere nel proprio pensiero, credere che ciò che è vero per te
nell’intimo del tuo animo è vero per tutti gli uomini: questo è il genio”.
Questo è in fondo anche il vero atto di resistenza umana e civile, “quando
l’atto della riflessione ha luogo nella mente, quando ci osserviamo alla luce
del pensiero, noi scopriamo che la nostra vita è incastonata nella bellezza”.
Emerson è sicuro che non c’è altro luogo perché “ovunque la società è in
perenne conflitto contro la maturità spirituale di ciascuno dei suoi membri.
Essa non è altro che una società per azioni, nella quale ciascuno membro
acconsente, per meglio assicurare il pane a ogni azionista, a rinunciare alla
libertà e alla cultura del singolo consumatore di tale pane. La virtù che più
si ricerca è il conformismo, di cui la fiducia in se stessi è l’opposto: esso
non ama vere realtà e autentici creatori, ma soltanto nomi e consuetudini”. E’
l’aspetto ribadito a più riprese da Emerson, convinto “che l’antenato di ogni
azione è un pensiero” e nello stesso tempo che “il nostro modo di leggere è da
mendicanti e da sicofanti. Nella storia, la nostra immaginazione ci inganna”.
Ralph Waldo Emerson è sincero (e onesto) fino al punto di spiegare che “le
nostre arti, le nostre occupazioni, i nostri matrimoni, la nostra religione,
non li abbiamo scelti noi, ma è stata la società a sceglierli per noi. Siamo
soldati da salotto, che schivano la dura battaglia del fato, dove nasce la
forza”. La consapevolezza dei propri limiti non impedisce, d’altra parte, di
comprendere “che un uomo è, è
sempre, di necessità, qualcosa di acquisito; e ciò che l’uomo acquisisce è
proprietà viva, che non attende cenni di governanti, folle, rivoluzioni, fuoco,
tempesta o bancarotte, ma perpetuamente si rinnova ogni volta che l’uomo
respira”. Il commiato rimane esemplare: “Per quanto poche e meschine siano le
doti in mio possesso, io esisto davvero, e non ho bisogno per rassicurare me
stesso o i miei concittadini di nessuna testimonianza accessoria”. Questo
dovrebbe bastare, perché poi nelle lezioni raccolte in Fiducia in se stessi, Compensazione e Leggi spirituali, c’è “la
coscienza civile americana” o, come l’ha definita Oliver Wendell Holmes, “la nostra
dichiarazione di indipendenza intellettuale”. Da rileggere spesso,
indispensabile nelle nebbie dell’emergenza.
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