La
continua sfida in tutte le variabili possibili del gioco d’azzardo porta di
Joey DePino a spingere nell’unica direzione possibile fin dove la razionalità
(o quello che ne rimane) s’interseca con l’imprevedibilità. Il bisogno di soldi
(prima epidermico, poi endemico e infine patologico) lo rende insensibile a
qualsiasi altra considerazione. L’unica logica che ammette è che “era sempre
questione di fortuna. Alcuni vincevano la lotteria, altri si beccavano un
condizionatore d’aria sulla testa mentre camminavano per la strada. Il resto
del mondo si trovava in una via di mezzo”. Joey DePino è un po’ che non ne
azzecca una e quando gli immancabili creditori gli recapitano l’ultimo
sollecito di pagamento con le dovute cortesie, capisce che è arrivato al capolinea.
L’andamento a spirale di Niente di personale, un modello a cui Jason Starr fa spesso riferimento,
subito dopo i guai di Joey DePino, incrocia quelli di David Sussman, un manager
con una posizione da difendere e un adulterio che si sta trasformando in un
incubo. Le due storie si avvinghieranno sempre di più, in apparenza senza
sfiorarsi, eppure entrambe radicate in una comune e contigua incapacità di
comunicazione, che non è solo verbale o emotiva. E’ un distacco, gelido e
imperfetto dal mondo e/o dall’umanità in funzione dell’ambizione dell’accumulo,
della carriera, del desiderio, di istinti più o meno viscerali. Jason Starr
riesce a renderli con estrema chiarezza, anche con tutti i suoi limiti
linguistici: l’insoddisfazione e il rischio, che si ritrovano nel gioco
d’azzardo, usato in Niente di personale come espressione metaforica di una società votata alla competitività e
all’aggressività, individualista fino al midollo. E’ la solitudine di
personaggi che sono soli anche quando si trovano insieme, anche quando
caracollano da una parte all’altra di una città di milioni e milioni di
abitanti, a sua volta una specie di scommessa in sé. Niente di personale si
evolve proprio come un tiro di dadi e quando esce il numero del personaggio di
turno, il destino si accavalla con i piani, i complotti, le decisioni e le
scelte in un crescendo disordinato e martellante, efficace per quanto
sconnesso. Il gioco d’azzardo che travolge Joey DePino è solo il primo dei
gironi infernali architettati da Jason Starr in Niente di personale che è percorso dal tradimento, dalla vendetta, da una
violenza endemica destinata a esplodere in modo inesorabile nella sua trama,
che si avvita e stritola i personaggi, senza lasciargli via di scampo. New
York, sullo sfondo, è sempre lo scenario perfetto perché come scriveva
l’antropologo inglese Desmond Morris “la città non è un giungla di cemento, è
uno zoo umano”. Jason Starr ribalta i ruoli, lascia rimbalzare l’epicentro di Niente
di personale di volta in volta sui
personaggi, che si dimenano quasi fossero prigionieri delle trame che loro
stessi costruiscono. Gli incroci sono speculari e pericolosi, tutti sono
incastrati in ruoli che non sono in grado di risolvere, ognuno vede nel dramma
dell’altro la propria soluzione fino al finale, che è un plastico sberleffo.
Non proprio bello, ma molto funzionale a capire dove siamo arrivati.
Nessun commento:
Posta un commento