Harlem, 1930: nel ghetto l’intreccio delle vite
è prepotente, un senso permanente di minaccia gonfia l’aria, ognuno ha una sua
preghiera per arrivare alla fine del giorno e per superare la notte, per
resistere all’inferno in terra e sperare nel paradiso in cielo e così “gli
uomini hanno parlato di come il cuore si spezza, ma non hanno mai parlato di
come l’anima resta sospesa, muta, nella pausa, nel vuoto terrificante tra la
vita e la morte; di come, strappati e gettati via tutti gli abiti, l’anima
entra nuda nella bocca dell’inferno. Una volta entrati non si esce più: una
volta dentro, l’anima si ricorda, anche se il cuore qualche volta dimentica.
Perché il mondo si rivolge al cuore, che balbettando risponde; la vita, e
l’amore, i piaceri e, più falsamente, la speranza, chiamano l’immemore cuore
dell’uomo. Solo l’anima, ossessionata dal cammino percorso e da quello ancora
da percorrere, persegue il suo misterioso e terribile fine; e trascina con sé
il cuore, gonfio di pianto e di amarezza”. Nel campionamento umano di Gridalo
forte finiscono due
coppie di fratelli, due matrimoni, due donne, tutti incastrati in un oscuro
triangolo perché c’è qualcosa di geometrico nei modi con cui tutti cercando di
nascondere le proprie ombre o, infine, di rivelarle. La capacità di
James Baldwin di interpretare la distanza minima tra bene e male, quasi di
visualizzarne la percezione, è il cuore ricco, denso, fluttuante di Gridalo
forte e la forza dei suoi protagonisti lo
rende un classico. Gabriel,
il predicatore che nasconde i suoi demoni in omelie spiritate e contorte e poi
ricorda che “fuggiva nella notte stellata e camminava finché arrivava a una
taverna, o a una casa che aveva già adocchiato nella lunga giornata della sua
libidine. E lì beveva finché sentiva dei martelli risuonare nella sua testa
annebbiata; malediceva gli amici e i nemici, e faceva a botte finché non
scorreva il sangue; la mattina si ritrovava nel fango, nella terra, in letti
sconosciuti, e una o due volte in prigione; con la bocca impastata, i vestiti
stracciati, emanando da tutto se stesso il fetore della corruzione. Allora non
riusciva nemmeno a piangere. Nemmeno a pregare. Desiderava quasi la morte,
l’unica cosa che potesse liberarlo dalla crudeltà delle sue catene”. I sermoni
non bastano a mascherare la verità perché “essere un predicatore non ha mai
impedito a nessun negro di fare le sue porcherie”. Questo lo dice la sorella
Florence, già sposata a Frank, che beve, canta i blues e muore in Francia, dove
la guerra non ascolta né i canti né le preghiere. Con Florence ci sono Deborah,
Elisabeth, Esther e James Baldwin trova la svolta giusta, anche all’interno di
una condizione drammatica, di spiegare che “su tutte le donne pesava, fin dalla
culla, una maledizione; in un modo o nell’altro, tutte vittime dello stesso
crudele destino: essere nate per sopportare il peso degli uomini”. Dei padri e
dei figli che qui hanno il nome di Roy, Elisha e John (soprattutto), l’unico
che, non senza dolore, saprà distinguere la realtà del peccato dalle sue
evocazioni. Rivelatorio.
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