Joe
Gould è l’archetipo del bohémien inconcludente, sempre affetto dalle tre S
(stomaco vuoto, sbornie e senzatetto) e da un sogno troppo grande e/o
altrettanto confuso. Quello che Joe Gould insegue nelle backstreets del Village
è “una storia orale del nostro tempo”, un’opera destinata a essere lunga come undici Bibbie. Cominciata sei
anni prima e mai finita è lo scopo supremo della sua vita e l’idea, come poi
avrebbe confermato tra gli altri anche un intellettuale lucidissimo come Howard
Zinn, ha un suo peso specifico perché “ciò che la gente dice è storia. Quello
che un tempo pensavamo fosse storia, re e regine, trattati, invenzioni, grandi
battaglie, decapitazioni, Cesare, Napoleone, Ponzio Pilato, Colombo, William
Jennings Bryan, è solo storia ufficiale, in gran parte falsa. Io scriverò la
storia alla buona delle moltitudini in maniche di camicia, quello che hanno da
dire sul lavoro, sull’amore, sul vitto, sui bagordi, sui guai, sugli affanni,
oppure perirò nello sforzo”. Per restare incollato alla sua utopia, Joe Gould
vive “l’arte del fai a meno”, evita in modo accurato un lavoro decente o
regolare che gli impedirebbe di pensare e rimane tutto il santo giorno in
ascolto di “conversazioni prolisse e conversazioni brevi e vivaci,
conversazioni brillanti e conversazioni sciocche, bestemmie, slogan, commenti
grossolani, frammenti di litigi, borbottii di ubriachi e mentecatti,
implorazioni di mendicanti e barboni, proposte di prostitute, imbonimenti di
bancarellisti e venditori ambulanti, sermoni di predicatori di strada, urla
nella notte, dicerie incontrollate, grida accorate”. La presenza stessa di Joe
Gould diventa una parte di New York, in particolare nel Greenwich Village, ed è
l’apologia dei bassifondi, di uno spirito libero e iconoclasta e insieme di tutto
un universo di outsider, compresi “gli eccentrici, gli spostati, i
tubercolotici, i falliti, le promesse mancate, le eterne nullità”, lui stesso
in testa al variopinto corteo e poi “gli altri si sono persi per strada.
Qualcuno è nella tomba, qualcuno in manicomio, e qualcuno nel mondo della
pubblicità”. Se va a caccia di ketchup, di mozziconi di sigaretta, di frasi
colte al volo e del momento giusto, quando tutto va a rotoli, per scriverle per
sempre. E’ quello che ha fatto per lui Joseph Mitchell con una visuale sempre
ravvicinata e misurata eppure coinvolgente: “Se proprio doveva recitare la
parte dell’idiota, l’avrebbe fatto su una scena più grande, davanti a un
pubblico più congeniale. Era venuto al Greenwich Village e si era trovato una
maschera, l’aveva indossata e non se l’era più tolta”. In effetti, vivendo sulla strada, open air, Joe
Gould di segreti non ne ha molti, ed è una figura pubblica nel migliore dei
sensi, cioè che appartiene a tutti, proprio come dovrebbe tutti dovrebbero
percepire l’indiscutibile necessità di proteggere almeno l’idea, l’eventualità
di una vita o anche di una porzione di vita con un minimo margine di
eccentricità, fosse soltanto una fugace deviazione o una piccola, salutare fuga
dalla realtà.
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