Questa bella antologia copre uno spettro tra il 1950 e il 1971 e ha scopi più che altro introduttivi, vista la vastità della produzione di Richard Matheson. La qualità dei racconti è però tale che vale la pena di una rilettura o, nel caso, è utilissimo per scoprire uno scrittore unico e originale. Il fantastico è, senza dubbio, l’elemento narrativo in cui nuota Richard Matheson, ma gli effetti speciali sono ridotti al minimo, a parte un po’ di sangue che zampilla ogni tanto. Sono altre le dimensioni a cui Richard Matheson si applica perché i suoi temi vengono tutti, in modo diretto ed esplicito oppure in maniera più sfumata, dalla realtà, che è il vero film dell’orrore. E’ l’uomo, e le sue solitudini, a determinare la propria autodistruzione e non c’è esempio migliore di La casa impazzita dove uno scrittore votato al fallimento è trascinato in un abisso dalle sue ossessioni. Le stesse paranoie alimentano gran parte dell’antologia ed esplodono con Il nuovo vicino di casa, un racconto agghiacciante eppure avvinghiato alla realtà psicotica della vita nelle periferie suburbane o in quella “società degli altri”, come la chiama il signor Jasper in La legione dei cospiratori, che coltiva il suo giorno di “ordinaria follia” in modo maniacale. E’ un maestro, forse il migliore nel lasciare in sospeso, soprattutto nell’esiguo spazio delle short stories ed è vero, come ha detto Stephen King, che “non chiede pietà e non ne concede”, però lascia al lettore spazi infiniti e non perché ai suoi racconti manchi qualcosa, anzi. Sono essenziali, proprio perché vanno nel centro del bersaglio e coltivano la tensione con poche indicazioni e molta suggestione, circondando il lettore più che cercando di sconvolgerlo o di provocarlo. Con fare sornione e raffinato, Richard Matheson tiene nascoste le mostruosità, fino in fondo ai racconti, dove soltanto alcuni dettagli le possono rivelare e in questo senso La danza dei morti è un piccolo capolavoro, tanto che sembra l’estratto di un romanzo, dato la quantità di suggerimenti che rimane nell’aria. L’effetto finale, comunque, è lo stesso nel sottolineare la perversione della cosiddetta normalità e la salutare disgressione nella diversità. Come succede nell’ormai classico Duel, figlio di una metamorfosi dovuta all’elementare, al primordiale concetto ed esigenza di sopravvivenza (che ritorna anche con La preda) perché all’improvviso succede che “tutti gli anni di buon senso e di certezze vengono spazzati via e, all’improvviso, ti ritrovi davanti la giungla”. Il peggio, sembra dire Richard Matheson, deve ancora venire e non gli manca una vena di autorironia, forse involontaria, in L’uomo enciclopedico, dove aggiunge un pizzico di perfidia al delirio di un genio improvviso: “E così non c’era niente che potesse fare: nient’altro che sputare in continuazione parole incomprensibili e domandarsi ogni notte perché gli stesse succedendo quella cosa terribile”. Non è difficile leggerci il ritratto di uno scrittore inquieto, capace di seminare il virus del dubbio tra le apparenti certezze dei nostri modern times.
Nessun commento:
Posta un commento