Scritto negli ultimi momenti della sua vita, con l’assidua collaborazione della moglie, Tess Gallagher, Il nuovo sentiero per la cascata è, tra tutte le raccolte di Raymond Carver, quella che avvicina di più la forma poetica alla prosa. Per molte ragioni la scrittura di Raymond Carver non ha mai attraversato il guado tra prosa e poesia: i suoi racconti, per quanto brevi, si sono sempre distinti per un lirismo tagliente nella sua nudità e indimenticabile per quell’ossessione per la quotidianità, per i tentativi più disparati (e disperati) di dare un senso alla vita; le poesie, per certi versi complementari e contigue alle short stories, sono una discesa nell’amore che Raymond Carver riversava per la parola e per la lettura. Il nuovo sentiero per la cascata tiene unite le due forme con un abbandono in parte dovuto sì alle circostantze contingenti e in parte raggiunto con un’infinita pazienza per la scrittura. Diceva una nota di Raymond Carver destinata alla moglie: “Scusa se l’idea mi emoziona tanto, ma mi è appena venuto in mente che ogni poesia che scrivo potrebbe intitolarsi Felicità”. Lo spirito e la predisposizione che lo anima è proprio quello e Il nuovo sentiero per la cascata alterna liriche straordinarie, frammenti letterari che non sono né racconti né poesie e nemmeno short stories (ma sono comunque bellissimi come Bretelle) e una complessa serie di citazioni (tra tutte quelle numerose di Anton Cechov, l’autore preferito di Raymond Carver) che sembrano il tema di una ballata: ritornano, come per definire il campo d’azione, il profilo, il mood, l’atmosfera. Poi partono le improvvisazioni di Raymond Carver, veri e propri assoli linguistici che non scendono a patti con niente e nessuno e si godono una libertà unica. Un valido esempio si nasconde tra i primi versi di Poesie: “Sono venute tutti i giorni di questo mese. Una volta ho detto che le scrivevo perché non avevo tempo per fare niente altro. Cioè, è chiaro, qualcosa di meglio. Qualcosa altro al posto di semplici poesie e versi. Ora invece le scrivo perché ne ho voglia. Più di qualsiasi altra cosa perché siamo in febbraio quando di solito non succede molto altro. Invece in questo mese sono fioriti i larici e un bel sole è uscito tutti i giorni”. E’ un Raymond Carver più determinato e consapevole che mai tanto da infilare, tra i tanti segnali di addio e di arrivederci (come quello esplicito di Non c’è bisogno: “Ecco. Ora lasciami andare, carissima. Lasciami andare. Non c’incontreremo più in questa vita, perciò dammi un bacio d’addio. Ancora uno. E un altro. Adesso basta. Adesso, mia cara, lasciami andare. E’ ora di avviarsi”) le istruzioni di Domenica sera: “Metti a frutto le cose che ti circondano. Questa pioggerellina fuori dalla finestra, per esempio. La sigaretta che tengo tra le dita, questi piedi sul divano. Il suono del rock’n’roll sullo sfondo. La Ferrari rossa che ho in testa. La donna che si sbatte ubriaca in giro per la cucina… Mettici dentro tutto, mettilo a frutto”. Qualcosa in più di un’antologia, quasi un testamento.
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