Thomas-Accende-Il-Fuoco, come già succedeva in Lone Ranger fa a pugni in paradiso, si difende raccontando, dando sfogo alla propria fantasia con storie che sembrano parabole o metafore, o soltanto un’illusione di fuga dalla realtà, dura e squallida, delle riserve in cui è imprigionato. Questa volta però, la situazione si complica ulteriormente: non sono più le visioni ripetute a ritmo serrato di Lone Ranger fa a pugni in paradiso (che Sherman Alexie aveva raccolto in altrettante short stories), ma un sogno complessivo e importante, quasi un archetipo per tutti i giovani americani (e non solo): mettere in piedi una band e diventare rock’n’roll star. A Thomas-Accende-Il-Fuoco però non capita come un prurito esistenziale o una necessità giovanile, quanto piuttosto come una missione per diventare qualcuno nella riserva indiana in cui vive (e soffre). Il risultato, in quello che è ormai il tipico linguaggio di Sherman Alexie, è ancora una volta sorprendente: Reservation Blues narra la storia dei Coyote Springs (questo il nome scelto per la band) usando tutti i più classici cliché delle rock’n’roll story in maniera creativa e brillante. Dalle prime, sgrammaticate recensioni all’immancabile battle of the band, dalle canzoni (che si chiamano Canzone d’amore del ragazzo indiano o Il mio dio ha la pelle scura) alla vita on the road, per non dire dell’onnipresente fantasma di Robert Johnson, Sherman Alexie continua a usare un tratto che è un crossover tra la cultura occidentale e i linguaggi mistici dei nativi, tra ironia e disperazione, con alcuni svolazzi lirici notevoli. La sua invocazione in un momento cruciale di Reservation Blues è eloquente perché mette bene in chiaro il senso della vocazione di Thomas-Accende-Il-Fuoco e dei suoi Coyote Springs: “Conosceva le parole di un milione di canzoni, indiane, europee, africane, messicane, asiatiche. Cantò Stairway To Heaven in quattro lingue diverse, ma mai aveva saputo dove fosse quella scala. Cantava di continuo le stesse canzoni indiane ma mai che le cantasse esattamente. Voleva far sì che la sua chitarra avesse il suono di una cascata, di un arpione che colpisce il salmone ma la chitarra suonava semplicemente come una chitarra. Avrebbe voluto che le canzoni, le storie, salvassero tutti e ciascuno”. Altre spiegazioni non sono necessarie: Reservation Blues è una grande storia di rock’n’roll, visto come un modo per affrontare la realtà attraverso i sogni e le visioni e anche una piccola mappa della vita nelle riserve. Questo con ogni probabilità era già tutto noto da Lone Ranger fa a pugni in paradiso, che non mancava di appunti polemici e note dolenti. Con Reservation Blues, Sherman Alexie può pretendere di essere una voce importante di quell’America nascosta, che non fa tendenza, che non arriva sulle copertine delle riviste patinate, ma che crede ancora che il rock’n’roll (e le sue storie) possano sortire una parvenza di soluzione. Magari solo per una notte, magari solo per una canzone, o soltanto per un sogno.
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