Nella tendenza crepuscolare di Philip Roth cominciata con L’animale morente, L’umiliazione si distingue per l’efficacia della misura e del ritmo stesso che la scrittura impone alla storia. Il “lungo viaggio nella notte” del suo protagonista, Simon Axler, è condensato in un romanzo dalle dimensioni ristrette che si evolve con sequenze elicoidali e proprio come una vite guida la trama senza la minima sbavatura. Bastano due soli cambi di scena sostanziali, molto precisi, e L’umiliazione arriva dritta al capolinea che a sua volta è l’ineludibile coup de théâtre che aleggia tra le righe fin dall’incipit. Questa non è scrittura. E’ chirurgia e Philip Roth, attraverso la crisi di Simon Axler, attore nel panico, affonda il bisturi in quella zona dei legami e delle relazioni umane in cui la finzione e la realtà si sfumano nella linea d’ombra dell’assurdo. Come scriveva uno dei protagonisti del teatro nel ventesimo secolo, Jean-Louis Barrault, “l’attore è colui il quale col suo movimento incide uno spazio e con il suono incide un silenzio. L’attore entra in uno spazio e deve raccontare. In realtà non è l’attore che recita ma è il pubblico che recita per lui. Egli è la sintesi di una storia. L’attore è un segno, un ponte fra la storia e il pubblico che vuole entrare nella storia”. Quando Simon Axler decide che il tempo del talento è scaduto perché “proprio ciò che prima aveva fatto di lui quel che era, adesso faceva di lui un pazzo”, la vita che fin lì ha vissuto diventa passato. Perde sua moglie, entra in un ospedale psichiatrico, non mangia più e si isola nel suo fallimento perché comunque “a un certo grado di infelicità, le provi tutte per spiegare cosa ti sta capitando, anche se sai che non spiegano nulla e che sono solo una filza di spiegazioni mancate”. L’arrivo di Peegen Mike Stapleford, figlia di amici d’infanzia (anche loro attori, va detto), ormai quarantenne e lesbica dichiarata scatena una metamorfosi per entrambi. La relazione che cominciano, consapevoli di vivere il momento e sicuri che nella vita conta solo “cercare tenacemente ciò che vuoi” e “smettere di cercare ciò che non vuoi più”, è incendiaria. Nonostante tutti gli avvisi, gli allarmi e i presagi Simon e Peegen non si pongono limiti e, anzi, usano il sesso senza inibizioni come un laboratorio emotivo. L’atto finale viene da solo: un colpo di ghigliottina, automatico e perfetto. Serve piuttosto tornare indietro un attimo, quando Simon Axler era ricoverato e “tutti gli altri sedevano in un cupo silenzio, interamente tesi e intenti a ripassare tra sé, nel lessico della psicologia pop o dell’oscenità da trivio o della cristiana sofferenza o della patologia paranoide, gli antichi temi della letteratura drammatica: incesto, tradimento, ingiustizia, crudeltà, vendetta, gelosia, rivalità, desiderio, perdita, disonore e lutto”. L’umiliazione è il riflesso delle tracce di tutti questi temi fatti roteare nell’aria da un giocoliere che non sbaglia niente, tanto che sembra un prestigiatore. Il migliore.
Nessun commento:
Posta un commento