Il paesaggio umano di Luglio per sempre sembrerebbe, a prima vista, lo stesso che dal Grande Freddo a Dreamers si dipana attorno ad una generazione felice, sognante, perduta e poi fallita e riempita in uguale misura di rimpianti e delusioni. Una storia su cui uno dei tanti personaggi di Luglio per sempre lascia cadere riflessione fredda e sincera come una pietra tombale: "Cercavamo di cambiare il mondo, ma sai cosa? Il mondo ha cambiato noi. Un cliché idiota, lo so, ed è questo che lo rende così triste, così deprimente. Tutti quei luoghi comuni che mamma e papà ci servivano come omogeneizzati. Sono veri". Okay, e infatti c'è qualcosa in più in questa classe del 1969 che si ritrova nel luglio 2000, prima dell'apocalisse delle Twin Towers. Una distinzione (storica, almeno) necessaria per raccogliere la decadenza di questi ragazzi avanti negli anni che cercano il sesso credendo sia l'amore, ballano ubriachi e finiscono la notte avvinghiati l'uno all'altra, senza conquistare niente e nessuno. In quel Luglio per sempre, come rende bene anche la traduzione del titolo originale (July, July), la confusione delle vite è la stessa dei tempi: "La guerra era finita, le passioni erano opinabili, e la band suonava una versione lenta e vuota di un vecchio pezzo dei Buffalo Springfield. Tutti provavano un senso di nostalgia, reso fluido dalle possibilità del presente". Sorgono spontanee alcune domande: quale guerra, quali passioni e quale canzone dei Buffalo Springfield? Sembrerebbe un lapsus nella memoria di Tim O'Brien, ma non è così perché in quella specie di laboratorio esistenziale che è la festa raccontata in Luglio per sempre prendono forma "piccole, semplici cose, sì, ma come in una grande camera oscura nazionale, le più normali istantanee umane sarebbero state fissate nella memoria dal bagno acido della guerra: la musica, il gergo, i notiziari della sera". E' quello che viviamo, ieri e oggi, e la sentenza di Luglio per sempre non è per niente consolatoria: "siamo le scelte che facciamo. Tutto il resto viene risucchiato via". Ognuno avrà la sua vita, la sua musica, le sue guerre e i suoi tempi e Luglio per sempre racconta una generazione per spiegarle tutte, per cercare un senso nel bizzarri percorsi della vita e del mondo. Ridicolo e amaro, crudele e malinconico, Luglio per sempre, come tutti i personaggi che lo popolano, ha la stessa andatura di un'orchestra sgangherata che però si regge in piedi e vuole arrivare alla fine della serata, e come tale è facile immedesimarsi nella lettura e perdersi tra una scena e l'altra. Una, memorabile è il flashback di quando Amy e Bobby, due della classe del 1969, andarono in viaggio di nozze, al casinò a giocare. Bobby vince in continuazione e più vince, più punta. Amy è preoccupatissima, la giovane croupier pure e lui continua a vincere. Per quattro, cinque pagine ci si aspetta da un momento all'altro il tiro sbagliato, il fallimento, il crollo, lì sul tavolo dal gioco, e invece no, Bobby sbanca e se ne va con "poco meno di duecentotrentamila dollari". La sconfitta, di tutt'altra specie e di ben altre dimensioni, arriverà non appena svoltato l'angolo, ma nel tempo perduto di Luglio per sempre ogni punto di vista è una vita diversa e loro, tutti insieme, fanno una solitudine gigante. Molto americana, molto reale.
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