Nonostante le pressioni e le infiltrazioni con cui si regge lo status quo, nonostante i risibili e scontati argomenti della fantomatica (nonché famigerata) “maggioranza silenziosa” arriva sempre un eroe (o meglio, un antieroe) a difendere le piccole e invisibili trincee degli eccentrici, dei solitari, degli spaventati. Viene sempre il turno di una nota dissonante, di un scheggia vagante, di un tassello che non va al proprio posto e non rientra nei ranghi. Forse è naturale e fisiologico, utile a mantenere comunque un equilibrio, ma quel dissenso che non è organico a nulla, anarcoide e impossibile da controllare perché è la sostanza dell’irriverenza e dello sberleffo è pur sempre una fonte di gioia. Ingenua e infantile finché si vuole, ma pur sempre liberatoria. Vale il culto sotterraneo che segue questo intenso e stravagante romanzo e lo rende una sorta di vera e propria bibbia (al neon) per questi disperati che, pur cogliendo la comicità dell'esistenza, non riescono ad evitarne il dramma. E' questo l'unico cardine autobiografico che lega John Kennedy Toole a Ignatius J. Reilly, il protagonista di Una banda di idioti: una vita breve e tormentata (morì suicida nel 1962, a soli 32 anni) scandita dai ritmi umidi della Lousiana e dai suoi due romanzi (bisogna ricordare anche Una Bibbia al neon). Amarissima ironia della sorte, John Kennedy Toole vinse persino un premio Pulitzer, postumo e tardivo, nel 1981, una decina d'anni dopo che la madre, con l'aiuto di Walker Percy, riuscì a far pubblicare Una banda di idioti. Proprio Walker Percy spiega quale sia il livello di identificazione tra autore, romanzo e protagonista, quando nell'introduzione originale scrive che "il capolavoro di John Kennedy Toole è Ignatius J. Reilly, intellettuale, ideologo, fannullone, parassita, ghiottone, che dovrebbe disgustare il lettore con i suoi giganteschi gonfiori, il disprezzo tonante e la sua battaglia personale contro tutti". Ignatius J. Reilly è il peggior incubo di Una banda di idioti, è l'insulto vivente al perbenismo e ai luoghi comuni, è uno slogan sovrappeso contro la mediocrità e il tran tran, è un coacervo di deliri ed idiosincrasie che ce lo rendono, da sempre, immediatamente simpatico, perché, prima o poi, magari in un singolo, piccolo momento chiunque vorrebbe essere come lui. Per niente politically correct, parla un linguaggio tutto suo, si fida solo dei suoi (strambi) simili e tanto è rifiutato ed emarginato, più è eccentrico e pericoloso. Poco importa che le sue concezioni del sesso, del lavoro, della politica e, in ultima analisi, della vita abbiano fondamenta risibili (o non le abbiano del tutto): Ignatius J. Reilly è istinto e libertà allo stato primordiale e New Orleans è un territorio di caccia perfetto per le sue visioni a voce alta. Un classico della narrativa degli outsider, quei personaggi quasi invisibili che hanno un rapporto diretto con il mondo dei sogni, e di cui si percepisce la mancanza solo quando non ci sono più.
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