Tra i dodici apostoli che per Harold Bloom rappresentano Il canone americano, Emily Dickinson occupa un posto speciale, illustrato così: “Lei è sempre lì: sa farsi valere, ha fiducia in se stessa, brilla nella propria luce”. È protagonista assoluta anche quando è In caccia del giorno, un’apprezzabile selezione a cura di Lorenzo Gobbi che la segue Sulle tracce del divino, come recita l’appropriato sottotitolo. È una fede molto dialettica, quella di Emily Dickinson, e trova spazi imprevedibili nelle sue poesie. La sacra presenza si concede un po’ alla volta, e la poetessa ne fa, in primis, una questione tutta personale: “Me la vedo con le nuvole, se qualche potere c’è al di là di loro che non sia sottomesso alla disperazione, che mai si prenda cura, nel più segreto modo, di una questione così piccola come la sofferenza, troppo vasto, lui, per disturbarlo, di più”. L’interlocutore resta incognito: il suo nome, scritto nei cieli, è noto e ribadito, ma anche dissimulato perché “lunghi anni di lontananza, non sono capaci di creare una frattura che un istante non sappia ricolmare, l’assenza del mago non disarma l’incantesimo, le ceneri di mille anni riportate allo scoperto dalla mano che quando erano fuoco le accarezzava ritroveranno movimento e capiranno”. A sua immagine e somiglianza, ci sono i riferimenti alle gioie naturali, compresi “questi febbrili giorni, alla foresta portarli dove acque fredde scivolano attorno ai muschi, e l’ombra è tutto ciò che saccheggia la quiete silenziosa, questo sarebbe tutto: così mi pare a volte” o il manifestarsi in fenomeni come “il segnale chiaro del vento per l’orecchio, quello che lo rende familiare, e severo, appagato, conosciuto, prima”. La cernita è ardita, ma ha una forza specifica nel mostrare la “teologia del desiderio”, come viene ricollocata nella brillante definizione di Lorenzo Gobbi: la poesia di Emily Dickinson è la costante celebrazione di un’energia folle e invisibile che viene tradotta verso dopo verso visto che “l’onnipotenza non ha una lingua e il suo suono caratteristico è il lampo, e il sole, la sua conversazione con il mare”. È un dialogo incalzante che si estende con una certa fluidità, puntando lassù “perché gli angeli si prendono in affitto la casa accanto alla nostra, ovunque noi andiamo a stare”, e restando spesso ancorato alla terra sapendo che, in fondo, si tratta di “un gioco, dura un attimo. È lo stare appostato di chi prova affetto, per fare in modo che la gioia se la guadagni, la propria sorpresa!”, ed è qui che mosaico si completa con un’asserzione lirica nella forma e concretissima nella sostanza: “Resterà, quella giusta cortesia quando la gioia sarà polvere con cui ricordiamo questo caso straordinario di fiducia ricompensata. Di tutto ciò che ci è permesso sperare nulla resiste se non la dichiarazione solenne che questo era dovuto proprio là dove più sentiamo la paura di essere gli amici che nessuno aspetta”. In caccia del giorno si spinge nei recessi più profondi della poesia di Emily Dickinson che arriva a guardare dentro l’infinità celestiale e a sentenziare: “A un punto tale il cielo è cosa delle mente che, se la mente fosse dissolta, il posto, suo, non c’è architetto lo potrebbe ancora dimostrare. È vasto, come lo è la nostra capacità, è bello, come l’idea che noi ne abbiamo, per colui che ne ha un adeguato desiderio, non è più lontano, di qui”. È un’iridescenza che stupisce solcando distanze impossibili, arriva all’improvviso “e lascia l’anima abbagliata nelle sue stanze senza nulla”. Comprenderla non sarà semplice, come non lo è stato per Harold Bloom: “La sua arte enigmatica è così ellittica che ci lascia dubbiosi riguardo a ciò che dice e al possibile significato delle sue parole. L’originalità, il suo attributo più forte, esige un prezzo in termini di conferma”. Non c’è alcun dubbio e l’esimio parere è così condiviso da Lorenzo Gobbi: “È difficile, a volte, cogliere riferimenti precisi nelle formulazioni densissime delle liriche dickinsoniane, e non sempre è utile riuscirci: possiamo, piuttosto lasciare che risuonino assieme ai più profondi e autentici tra i nostri pensieri”. Eccola qui, con tutto il suo sublime afflato: “È per loro che mi preparo, cerco il buio, fino a quando non sarò pronta davvero. La fatica è seria con questa dolcezza che le basta, che l’astinenza di tutto ciò che mi appartiene produca un cibo più puro per loro, se riesco, se no avrò avuto il desiderio della meta”. Il traguardo è stato annunciato più volte, ma anche in questo caso Emily Dickinson si concede un’opzione supplementare nell’altissimo confronto: “Il Paradiso è della nostra facoltà di scelta. Chiunque voglia dimora nell’Eden, nonostante Adamo e la cacciata”. Inarrivabile.
Nessun commento:
Posta un commento