Reduce dai campi di battaglia europei della prima guerra mondiale, mutilato degli arti e della faccia, privato dei sensi e immobilizzato in un letto di ospedale, Joe Bonham ricorre all’unica risorsa che gli rimane, il pensiero. Ben presto si rende conto che se è salvo (se così si può dire) è perché è il risultato di esperimento, teso a dimostrare l’efficienza della medicina e della chirurgia sul campo. Nel corso degli eventi bellici, l’umanità svanisce e dato che “questo non è tempo di preghiere”, al soldato, ormai prigioniero di un corpo straziato, non resta che proclamare, perentorio: “Quando gli eserciti si mettono in marcia le bandiere sventolano e gli slogan risuonano dovunque stai in guardia piccolo uomo perché le castagne al fuoco non sono le tue ma di qualcun altro. Tu combatti solo per delle parole e non stai facendo un contratto onesto, la tua vita in cambio di qualcosa di meglio. Fai il nobile ma quando ti avranno ammazzato quella cosa per cui hai tradito la tua vita non ti servirà a niente ed è molto probabile che non servirà nemmeno a qualcun altro”. L’avviso, come ogni singola parte del furioso monologo di Joe Bonham è un grido di dolore che si svolge nel silenzio e che viene reiterato, rivolgendolo con veemenza contro la retorica bellica: “Tenetevi pure i vostri ideali purché io non debba pagarli con la mia vita. E quelli dicono ma come i principi sono più importanti della vita. E tu ah no forse saranno più importanti della tua vita ma non della mia. Cosa diavolo è un principio? Quando l’hai nominato è finito lì”. Una parte vitale pulsa ancora in Joe Bonham: sente, non senza stupore, che gli appuntano una medaglia sul petto, cerca di collocarsi nello spazio, per conquistare sulle uniche parti di pelle rimaste intatte la carezza del sole, e prova in continuazione a orientarsi nel tempo perché “poco importa se sei lontano dagli altri purché tu abbia un’idea del tempo perché solo così sai di vivere nello stesso mondo in cui vivono loro fai parte di loro ma se perdi la nozione del tempo loro vanno avanti e tu resti indietro solo sospeso nell’aria perso per sempre”. La condizione estrema di sopravvivenza e dolore lo costringe a ricordare e dal passato riemerge un clima di pace con i piccoli dettagli della vita quotidiana, le conquiste e le sconfitte giornaliere, le ragazze e i ragazzi che si rincorrono sapendo che “abbiamo cose ben più importanti di una guerra”. L’isolamento resta atroce, la vita è ridotta a una forma indefinita confinata nell’immaginazione, finché Joe Bonham non prova a comunicare con il codice Morse, sbattendo la testa contro il cuscino. Rimane incompreso ancora a lungo e Dalton Trumbo riesce a delineare con la forza di una scrittura grezza e risoluta le sue intenzioni. Quando, con molta prudenza, attorno a lui comprendono il mezzo per comunicare, Joe Bonham crede di aver trovato un ruolo, di poter disporre “i germi di un nuovo ordine delle cose”. Convinto che “la gente è sempre disposta a pagare per vedere una curiosità è sempre enormemente interessata alle cose orribili e probabilmente su tutta la faccia della terra non c’era una sola creatura vivente che fosse così terribile a vedersi come lo era lui”, sa di di poter diventare “il nuovo messia dei campi di battaglia che diceva alla gente così come io sono sarete anche voi. Perché lui aveva visto il futuro l’aveva provato e adesso lo stava vivendo. Aveva visto gli aeroplani volare nel cielo aveva visto i cieli del futuro neri di aeroplani e ora vedeva tutto l’orrore che stava al di sotto”. L’accorata vocazione, il suo grido di dolore troverà un’adeguata risposta che rende E Johnny prese il fucile un classico moderno, purtroppo ancora attualissimo.
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