Proprio come in Un piede in paradiso c’è un’area che sta per sparire, ricoperta da un invaso (“Quella valle non sarà mai abbastanza sepolta per me”). Un segno di continuità ambientale, però siamo nel Tennessee, in un’area oscura e stregata, dove il simbolismo dell’acqua, che scenda dall’alto o emerga dal basso è dominante. La desolazione del prologo, dove viene pescato un teschio da un antico pozzo, con la ruggine che ha corroso tutto, lascia intuire che che in quei luoghi si è consumata più di una tragedia e che La terra d’ombra “è un posto di cui la gente dovrebbe avere paura, non una valle qualsiasi”. Accompagnandoci nel suo interno, Ron Rash orchestra le forme della wilderness, come se fauna e flora parlassero e suggerissero persino il cambio di stagioni, un flusso che diventa palese in un passaggio particolarmente evocativo: “Tutto indicava che sarebbe stato un duro inverno. I nidi degli scoiattoli appesi ai rami bassi e le larve ispide delle falene tigrate e anche il muschio più spesso sui tronchi degli alberi”. Lì vivono i fratelli Hank e Laurel, che cercano di emanciparsi dai limiti congeniti del territorio, della famiglia e della nazione, visto che Hank è un reduce della prima guerra mondiale. Ha perso un braccio in Europa, ma nonostante tutto ha ancora la forza di sperare in un futuro migliore. Lo esprime senza paure: “Sono stufo di dover superare le cose”, sta ricostruendo la fattoria ed è in procinto di sposarsi. Sulla sua valle pesa l’ombra delle superstizioni che “sono il prodotto di coincidenze o ignoranza” e anche uno strumento per mantenere le distanze dalla città. Le asperità della natura e gli echi della guerra rimbalzano sopra le loro teste finché alla porta non si presenta uno sconosciuto, che è muto e suona il flauto. Si chiama Walt ed è un mistero, ma nell’incrocio con Hank e Laurel, La terra d’ombra viene rischiarata dalla sua presenza. Diventa un valido aiuto per i lavori in campagna, compresa la realizzazione di un pozzo, raccontata in una descrizione epica, e sviluppa una delicata love story con Laurel. Il fatto che abbia un talento per la musica è uno dei tanti tasselli che Ron Rash dispone nel romanzo, ma che in prima istanza non rappresentano un insieme, che arriverà a vedersi soltanto nello sviluppo finale. Le canzoni cantate, Shady Grove e The False Knight, rappresentano delle chiare indicazioni, così come il momento conviviale di festa, condito dall’alcol illegale, sarà l’occasione per incrinare il fragile equilibrio. Senza trucchi o superflui meccanismi narrativi, ma con una voce diretta, densa e precisa Ron Rash focalizza alla perfezione ogni singolo protagonista nonché la spaccatura tra i cittadini nel sostegno alla guerra che implica una svolta nel corso della storia con l’invenzione del nemico a tutti i costi e la coltivazione della paranoia come sottoprodotti dello sforzo bellico. I richiami all’attualità che La terra d’ombra impone sono dovuti perché, come si legge nell’introduzione, “il nostro mondo ha abbondanti scorte di realtà” e la scrittura di Ron Rash, avvolge come un sudario, “senza compromessi” come ha detto Colum McCann e senza via di scampo, lasciando intravedere nei destini di Hank, Laurel e Walt un cupo presagio per tutti. Notevole.
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