Nei racconti di Rick Bass c’è sempre un fiume che scorre trascinando i destini dei personaggi, come è chiaro fin dalla splendida ouverture di Pagani. Una short story incantevole che rilegge il tema classico e inesauribile dell’irrisolta coabitazione tra amicizia e amore seguendo un gioco (pericoloso) lungo e dentro il fiume. L’incipit è essenziale e perfetto: “C’erano una volta due ragazzi, migliori amici, che amavano la stessa ragazza e, in un variazione meno comune di quella vecchia storia, lei non scelse nessuno di loro, ma proseguì per la sua strada e ne incontrò un terzo, e vissero felici e contenti”. Potrebbe finire qui, ma sotto la superficie nasconde sia gli spunti agrodolci dei riti di passaggio dall’adolescenza all’età adulta, sia considerando il fiume nella sua realtà (“Solo perché l’acqua era brutta, non voleva dire che avesse un brutto suono” e in una dimensione molto più ampia che solo i veri river rat riusciranno a comprendere: “A quel tempo c’erano ancora un milione, o forse centomila, o almeno diecimila luoghi come quello al mondo. Morbide congiunture di possibilità, luoghi a cui non erano stati imposti limiti, dove riserve dal potenziale infinito erano alla portata di tutti, e aspettavano chi li reclamasse, li scoprisse, li lavorasse, li immaginasse. Luoghi di ricchezza e salute, anche nel mezzo di veleni torcibudella”. Ecco, nonostante la devastazione e l’abbandono, lungo le correnti d’acqua di Rick Bass è facile trovare, come per succede in Pagani, “una riserva di dolcezza, un’ampia volta sotterranea di dolcezza, come la tana del tesoro dei barbari: il passato, occultato nel profondo dei loro cuori, trattenuto e custodito, mitico e potente, anche se immobile”. È lo stesso senso di speranza dei racconti e dei romanzi di Richard Ford, ma Rick Bass ha una prospettiva più spigolosa e acuta, con l’attitudine a “scolpire e scrivere; fendere e caricare. Un po’ come una guerra. Come se questa guerra non richiesta dovesse essere, e fosse, il prezzo della loro pace precedente e della loro pace a venire”. L’intenso rapporto con la natura, che viene declinato di volta in volta a seconda delle evenienze e delle situazioni, diventa ancora più esplicito Nel paese di Ruth (dopo il Texas di Pagani, lo Utah), con La storia di Rodney o in L’attesa dove i protagonisti sono immersi nelle acque (rispettivamente dei canyon, del Mississippi e del bayou). Un rapporto mistico e animalesco nello stesso tempo che poi viene celebrato definitivamente in Cigni così: “Notte e giorno, giorno e notte. C’è un equilibrio perfetto, un momento esatto di tensione per tutto. È caratteristico dell’essere umano, ed è forse sbagliato?, cercare di ritrarsi, cercare di tornare indietro, di fermarsi, di costruire una fortezza dentro l’inevitabile rilascio e il rinculo di questa tensione? O il cercare di non permettere all’equazione di svolgersi, come l’acqua corrente dei fiumi che passa sopra, oltre e intorno ai massi dell’alveo?”. Questa proiezione battesimale vale per tutti: i boxeur dei circuiti sotterranei che popolano La leggenda di Pig-Eye, i pompieri che lottano “sul lato opposto del miracolo” in Il vigile del fuoco, e si nota ancora negli Esercizi di atletica all’aria aperta o in Fuochi (“Quassù tutto è lontano”) e, molto di più, nell’immersione gelida di Alci o nella magia blu di Storia di un eremita, dove ci si accorge, in definitiva, che “è come se ci fosse qualcosa in noi, un impulso, un elemento catalizzatore, che ci impedisce di andare dritti verso qualcos’altro”. Quell’incertezza è l’ingrediente determinante per tutta la lunghezza di Cane da petrolio, l’ultimo racconto di questa splendida raccolta, che è un capolavoro nell’alternare le speculazioni sui sentimenti e sulle emozioni con gli effetti dello sfruttamento dei giacimenti di petrolio (e di gas), compresa la sensazione che “forse era tutto un erratico sogno, il sogno di bruciare”. Come gli altri caratteri di Rick Bass, il protagonista è combattuto (“Sapevo che il mio mondo era piccolo e pulito, ma era venuto il momento di trasferirmi nel misterioso mondo più grande”), ma alla fine si accorda allo scorrere della vita (“Credevo semplicemente di esistere, di non avere alcuna responsabilità, e che la strada era sgombra e si dispiegava davanti a me”). L’arma segreta dell’happy end, che non è così ovvio o banale, è garantita da una complessa serie di circostanze, ed è proprio lì, con un fiuto da segugio, che Rick Bass sa trasformare “la bellezza invisibile in bellezza manifesta”. Livello superiore.
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