Nel raccontare la turbolenta biografia di Muddy Waters, Robert Gordon riporta per ben due volte la zuffa, avvenuta in nome dell’autenticità, tra Albert Hoffman, il manager di Dylan, e l’etnomusicologo Alan Lomax. Entrambi avevano ormai una certa età, eppure non trovarono di meglio di darsele di santa ragione. C’è una logica nella rissa e Robert Gordon, con la complicità di Keith Richards, spiega che l’oggetto del contendere era che “la purezza e la semplicità del blues, il suo carattere primitivo, sono un mito. Il blues, come le emozioni, è complesso. Blues è cantare per alleviare l’afflizione, sentirsi bene per il fatto di stare male. È una musica nata dalla sofferenza, che però trasmette piacere, un mezzo che ci consente di passare dal dolore al sollievo”. Quella di Muddy Waters è una vita che spiega il blues, come non si potrebbe diversamente, ma è vissuta a ritmi del rock’n’roll. Un’espressione legata al contesto sociale, che non ha dubbi sulla natura, sull’origine e sulla progressione del blues: “Il blues è un’arte mirabile, ma le condizioni che l’hanno creata erano strazianti. C’è una sola verità riguardante il blues che è rimasta praticamente immutata nel corso dei decenni ed è il fatto che tuttora è considerata una musica che affonda le sue radici nella povertà”. Robert Gordon narra con l’occhio del testimone oculare anche se, nei fatti, la sua ricostruzione è una storia orale, vista l’enorme massa di interviste e commenti che ha raccolto. Nella vita di Muddy Waters si sentono le voci di Honeyboy Edwards, Son House, Johnny Shines, Barbecue Bob, Texas Alexander, Roosevelt Sykes, Junior Parker, Willie Mabon, James Cotton, Chris Barber, Junior Wells, Pinetop Perkins, Alexis Corner, Steve Miller, Eric Burdon e Keith Richards che dice: “Questa musica è stata chiamata blues circa un secolo fa, ma la musica è una sensazione e non è possibile stabilire una precisa data d’inizio per le sensazioni. Le sensazioni nascono dalle persone e penso che questo sia il motivo per cui il blues è universale, perché è parte di ognuno di noi”. Robert Gordon è puntiglioso nel descrivere ogni singolo dettaglio, ogni aneddoto collocandoli nel contesto generale dello sviluppo del blues secondo Muddy Waters, per poi riportarlo alla sua essenza naturale con una definizione estrema, forte, incisiva: “Il blues, nato dalla frustrazione della libertà, cominciava a prendere forma. Il blues traeva origine dalle privazioni e divenne né più né meno di uno strumento di sopravvivenza. Come la musica gospel, il blues significava liberazione, forniva conforto. Il blues riguarda il momento presente e ti impone di dimenticare le tribolazioni passate e i guai futuri, di penetrare in quella canzone e in quella sensazione adesso, di abbandonarti completamente a essa. Anche se attinge da un enorme serbatoio di versi, distici, filastrocche e detti preesistenti, il blues è un genere di musica profondamente personale”. Muddy Waters si definiva “un cantante del ritardo”, perché c’era qualcosa di sospeso nel suo blues e c’è un senso se “in meno di tre minuti, arrivava dritto ai visceri, non servivano occhiali né istruzione”. L’unico segreto è molto semplice ed è stato svelato dallo stesso Muddy Waters: “Amavo la musica, ecco tutto”, e nemmeno il mercato discografico, i cui metodi non sono molto dissimili dalla mezzadria, è riuscito a piegarlo. Il valore delle sue canzoni è parte di un’evoluzione che va ben oltre il valore commerciale perché è un dato di fatto che “la ragione per cui il blues ha attratto tante persone differenti che appartengono a differenti culture, la ragione per cui questa musica continua a parlare al nostro cuore, è che il blues non è legato al luogo più di quanto non lo sia alle circostanze”. Ecco, ripercorrendo l’esistenza di Muddy Waters diventa chiaro che ha trasformato il blues, non solo dalla versione rurale e minimale a quella urbana, dal Mississippi a Chicago, ma anche nella sua sostanza tematica, e questo Robert Gordon lo dice in modo esplicito: “Attraverso Muddy il blues divenne una musica di speranza, non solo d’evasione. Quella che era stata la musica dell’oppressione diventò la musica della liberazione”. Indispensabile.
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