Ultima notte a Manhattan è una scatola a incastri, una scacchiera truccata, un puzzle con un pezzo in meno, un mazzo di carte con troppi re e regine, un labirinto senza via d’uscita, se non sei Walter Whiters. Essendo un agente segreto, sa che il doppio gioco è soltanto l’inizio: pensa di aver lasciato la CIA in Europa lungo l’invisibile fronte della guerra fredda, ma la Compagnia non l’ha mollato. Oltre Atlantico la sua rete di agenti si è sfaldata “perché i suoi campioni erano umani, con tutte le fragilità e i limiti umani, e avevano fatto tutto ciò che era possibile entro quei limiti e se questo significava essere sconfitti, quella sconfitta possedeva una sua triste bellezza”. È per quello che vuole tornare a New York, desiderio più che legittimo. Vorrebbe anche consolidare il suo legame con Anne Blanchard, cantante e prima della classe di una sfavillante serie di femme fatale che, oltre a lei, comprende Madeleine, Marta, Alicia e la Contessa. Dato che comunque ha un tenore di vita tutto suo e gli piace restare in movimento, Walter Whiters trova lavoro in un’agenzia investigativa, dove può far valere le capacità acquisite sul campo. L’incontro fortuito con gli arrembanti Kennealy e la morte sospetta di Marta mette Walter Whiters al centro di una tela in cui si annodano moltitudini di conflitti. Ma Ultima notte a Manhattan non è soltanto un noir immerso nell’atmosfera torbida e sensuale di una New York che non c’è più (se mai è esistita), è un grande romanzo che svolge la lingua del potere: complotti, ricatti, (sessuali), vendette che Don Winslow traspone nei magistrali dialoghi senza fine, destinati a elaborare piani sopra piani, per poi demolirli. Walter Whiters sa che la lotta per il potere si nutre del segreto, qualcosa di inspiegabile che resta alle spalle, una minaccia che si alimenta della paura e che genera un ciclo continuo, come la pioggia che scende sulla terra ed evapora ogni volta. Nell’Ultima notte a Manhattan, il catalogo c’è tutto: i suoi vecchi colleghi in fase di riposizionamento, gli uomini dell’FBI di Hoover, che detesta i Keneally (come tutti i politici, ma di più), la mafia, le spie dell’Unione Sovietica. Walter Whiters ha un solo vantaggio ed è sapere che “il senso della strada non è limitato a quando sei in strada”: una sorta di percezione superiore affilata dall’esperienza nel sapersi muovere nell’ambiguità, dove tutto è doppio, anche New York, perché “le città cambiano sesso quando cala il sole”. Manhattan, l’isola delle colline, è la vera protagonista, poi Washington Square, le cafeterie, le trattorie, e soprattutto i club, il Village Vanguard, il Cellar, il Blue Note, il Five Spot. Tra Miles Davis, John Coltrane e Thelonoius Monk, l’apoteosi del jazz come elemento coagulante della vita metropolitana è comprensiva degli outsider impazziti e felici della Beat Generation e, a uno di loro, Sean McGuire, Walt Whiters assegnerà un ruolo determinante. Più delle suite jazzistiche e delle canzoni di Cole Porter sono però le parole di All I Have To Do Is Dream degli Everly Brothers a dare un tono alla fluttuante atmosfera dell’Ultima notte di Manhattan “perché lì, sotto i globi luminosi e i neon lampeggianti, ogni sogno sembrava quasi una realtà, ogni cavallo della giostra facile da montare, ogni momento un nuovo inizio”. È l’effetto straniante di una New York natalizia: poi arriverà il 1959, Kind of Blue, tutta un’altra musica, e un’altra era. Don Winslow di prende qualche libertà cronologica, ma i personaggi storici sono filtrati attraverso una lente deformante che lascia intuire i profili originali: insieme ai Kennealy/Kennedy, s’intravede la parabola di Marylin Monroe e dietro la Contessa, c’è la baronessa Pannonica de Koenigswarter, musa dei jazzisti, mentre Sean McGuire è Jack Kerouac (che era effettivamente a New York in quel momento) e il Vecchio che cala come un deus ex machina a concludere l’Ultima notte a Manhattan sarà Allen Welsh Dulles, direttore della CIA dal 1953, l’unico a poter comporre un intricatissimo schema fatto di ombre, dato che quei rompicapo li ha inventati proprio lui.
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