Secondo John Updike, Vladimir Nabokov era un insegnante “ispirato, magnetico, galvanizzante” e le tre definizioni trovano abbondanti conferme nelle Lezioni di letteratura che raccolgono gli appunti e le analisi per i suoi corsi a Wellesley e e alla Cornell University tra il 1941 e il 1958. Il programma di studi compredeva Jane Austen (Mansfield Park), Charles Dickens (Casa desolata), Proust (La strada di Swann), Flaubert, (Madame Bowary) nonché Il Dottor Jekyll e Mister Hyde (Stevenson) La metamorfosi di Kafka e l’Ulisse di Joyce. Trattava anche Čechov, di cui però non è rimasta traccia negli archivi, ma la linea comune nei confronti degli allievi è che “possiamo smontare il racconto, possiamo scoprire come combaciano le sue tessere, come una parte della struttura corrisponde a un’altra; ma dovete avere in voi qualche cellula, qualche gene, qualche germe che vibri in risposta a sensazioni che non potete né definire né rifiutare”. Per quanto scrupoloso e inflessibile, Nabokov sa che le nozioni, anche ricche e insolite come si evince dalle sue Lezioni di letteratura, non sono mai sufficienti e va inseguita “la pura soddisfazione che offre un’opera d’arte ispirata e precisa; e questo senso di soddisfazione contribuisce a sua volta a formare il senso di un benessere mentale più genuino, quel tipo di benessere che sentiamo quando ci rendiamo conto che, nonostante tutti i suoi sbagli e i suoi propositi, anche il tessuto interiore della vita è questione di ispirazione e di precisione”. Le istruzioni partono da una cernita ben precisa che distingue gli effetti della narrativa dalla realtà (“La letteratura è invenzione. La finzione è finzione. Definire una storia una storia vera è un insulto all’arte e alla verità”), concentra l’attenzione sulla passione e sull’istinto (“Lo studio dell’impatto sociologico o politico della letteratura dev’essere stato escogitato soprattutto per quelli che, per temperamento o educazione, sono immuni dalla vibrazione estetica della vera letteratura, per quelli che non sentono il brivido rivelatore tra le scapole) e invita a un approccio creativo alla lettura (“Il buon lettore è chi ha immaginazione, memoria, un dizionario e un certo senso artistico, quel senso che mi propongo di sviluppare in me e negli altri ogni volta che mi si presenta l’occasione”). Anche sullo scranno accademico, Nabokov promuoveva con insistenza l’idea di “accarezzare” quei dettagli, “quei particolari e combinazioni di particolari, che fanno scoccare la scintilla sensuale senza la quale un libro è inerte”. Nelle sue digressioni, cercando di penetrare nei mondi creati dagli scrittori, non distingueva tra forma e contenuto e ribadiva ogni volta che, alla fine, “per godere di quella magia un lettore accorto legge il libro di un genio non con il cuore, neanche tanto con il cervello, ma con la spina dorsale. È lì che si manifesta quel formicolio rivelatore, anche se leggendo dobbiamo rimanere un po’ distanti, un po’ distaccati. Allora, con un piacere insieme sensuale e intellettuale, guarderemo l’artista costruire il suo castello di carte e il castello di carte diventare un bel castello d’acciaio e di vetro”. L’anatomia dei romanzi, le riflessioni sulla vita e sul lavoro degli autori, le meticolose ricostruzioni dei personaggi, delle ambientazioni e degli sviluppi delle trame son funzionali a comprendere “la creazione di un mondo nuovo” e ad affrontarlo con la giusta predisposizione. Come scrive ancora John Updike, Nabokov “chiedeva quindi alla propria arte, e all’arte altrui, qualcosa di più: un tocco di magia mimetica o di ingannevole duplicità, che fosse soprannaturale e surreale nell’accezione originaria di questi due termini”. Ecco cosa spiegano, ancora oggi, le Lezioni di letteratura di Nabokov: l’arte è un inganno, ma non possiamo farne a meno.
Nessun commento:
Posta un commento