Nonostante la natura frammentaria, da questa selezione di “saggi, poesie e racconti” emerge una sfumatura del lavoro (e della vita) di Raymond Carver che si dipana dal valore delle parole, attraverso le dimostrazioni pratiche di un metodo di lettura e scrittura, disseminate qua e là. Tra l’abbozzo di un romanzo (I taccuini di Augustine), le prime prove poetiche (Il tradimento: “Come la cattiva reputazione, comincia dalle dita, dalle loro bugie”), una sceneggiatura e una riflessione su “storie in cui accade qualcosa di importante”, è come se un piccolo, ma non trascurabile tassello della personalità di Carver trovasse il suo posto, fin dal momento in cui annuncia: “Vorremmo avanzare l’ipotesi che il talento, il genio, addirittura, sia anche il dono di vedere quello che tutti hanno visto, ma vederlo in modo più chiaro, da ogni lato. Comunque, in entrambi i casi, è un’arte”. Molto interessante la sezione dedicata all’attività critica di Carver dove, oltre a indicare chiaramente le coordinate della sua prospettiva (“Scelte. Conflitto. Dramma. Conseguenze. Narrativa”) spiega, una volta di più, come prende forma la scintilla essenziale e irrinunciabile: “Quando si finisce di leggere un bellissimo racconto e si mette via il libro, ci si dovrebbe fermare un momento, come per riprendersi. In questo momento, se lo scrittore è riuscito nel suo intento, si dovrebbe formare un senso di comunione emotiva e intellettuale. O, se non proprio un senso di comunione, perlomeno la sensazione che le disparità di una situazione cruciale ci sono state presentate sotto una nuova luce e questo è per noi un punto di partenza”. L’autonomia delle scelte e la sincerità dei giudizi non sono mai indolori ed è un prezzo che va pagato. Più che esemplare il casus belli scaturito dall’analisi delle short story di Donald Barthelme, dove Raymond Carver non si risparmiò, offrendo una particolareggiata e lucidissima analisi. In uno dei passaggi salienti, sosteneva, senza alcun timore reverenziale: “C’è la sensazione che in questi racconti tutto sia permesso, cioè, niente debba avere un senso, che non ci sia una cosa che ha maggiore pertinenza, peso e valore di un’altra. Questo è un mondo ridotto al lastrico, ragazzi, e perciò tutto è relativo”. Sentendosi bistrattato, Donald Barthelme reagì suggerendo a Tess Gallagher che quando non ci piace qualcosa potrebbe essere “sufficiente circondarla d’una generosa dose di silenzio”, idea che, al di là del caso specifico, resta comunque sempre valida. Tra gli autori più citati, l’amatissimo Čechov a cui Carver dedica lunghe dissertazioni, ma nelle recensioni e nelle selezioni antologiche si svela una vasta panoramica di autori americani: Charles Baxter, Ann Beattie, James Lee Burke, Jim Harrison, Thomas McGuane, Richard Brautigan, Frank Conroy, Amy Hempel, John Irving, John Gardner, Bobbie Ann Mason, Joy Williams, Andre Dubus, William Humphrey, Gina Berriault, Vance Bourjaily e, last but not least, Sherwood Anderson. Il quadro che ne esce è un Carver meno solitario e più inserito in un contesto di alleanze e complicità, più propenso a condividere le passioni letterarie, e non solo. L’Amicizia con Richard Ford e Tobias Wolff, celebrata dalla testimonianza in coda a Per favore, non facciamo gli eroi, mostra un Carver sorridente e, se non proprio felice, almeno a suo agio. Il motivo, oltre ai compagni di avventure, non va cercato molto lontano. Nel recensire due biografie di Hemingway, Carver dedica una particolare attenzione al tono, al punto di vista, alla costruzione della trama e la conclusione a cui giunge, pur con le dovute differenze, si adatta alla perfezione a Per favore, non facciamo gli eroi quando dice che “lo scrittore è ancora l’eroe della storia, in qualunque direzione essa si sviluppi”.
Nessun commento:
Posta un commento