La domanda era: “Se la verità fosse esplosa?”, e la risposta andarono a cercarla, più che nel vento, tra le note di Charlie Parker, Thelonious Monk, Dexter Gordon, Dizzy Gillespie, Lester Young, Lester Young, Wardell Gray, Lennie Tristano, Ornette Coleman e Don Cherry che risuonavano nella notte. Questo è l’inizio di una “nuova visione”, emanata dalla purissima invenzione americana del jazz, quella “luce senza stelle”, come la definiva Gregory Corso, che spinse un manipolo di vagabondi a definire “l’opposizione alla civiltà delle macchine militari-industriali”, che non è mai abbastanza. Prima di arrivare a coltivare utopie profetiche e sacrosante, erano “sulla strada” e, come ricorda Allen Ginsberg, “stavamo facendo autostop e dovevamo ammazzare il tempo, quindi componevamo frasi per stupirci a vicenda”. Improvvisando, proprio come gli ammiratissimi jazzisti, capirono che “dimenticare il mondo e divertirsi con le parole” li portava lontano e, di sicuro, regalava “una certa dose di libertà”. Le Lezioni sulla Beat Generation di Allen Ginsberg cominciano proprio dalla sua definizione, ricordando il ruolo di Herbert Huncke nelle fasi embrionali (“Si può dire che Herbert Huncke sia stato il primo fautore della nozione di Beat Generation o della nozione dell’ethos del Beat e dei concetti di Beat e schiettezza”) e arrivando a delimitarne i confini, sulla coda dello sviluppo della discussione tra John Clellon Holmes e Jack Kerouac: “La Beat Generation è innanzitutto un movimento spirituale e quindi quello che ho raccolto sono campioni di risvegli spirituali, di esperienze rivelatrici, esperienze di illuminazioni, alterazioni della coscienza o intuizioni psichedeliche articolate da persone che c’erano fin dall’inizio come parte del gruppo originale”. Questi i presupposti, poi ampliati, un capitolo dopo l’altro, attraverso l’analisi e il dialogo con i protagonisti: Kerouac (“Era più uno scrittore che una persona. Il suo argomento era l’America e la promessa dell’America. L’America come poesia”), Burroughs (con la sua predisposizione a “esplorare le idee fino all’estremo”), Corso, Neal Cassady, e naturalmente lo stesso Ginsberg, trovano un posto di riguardo come “esseri umani che si confrontano l’un l’altro, a cuore totalmente aperto”. In apparenza, le lezioni sono tortuose, ma seguono un modello ben preciso: Allen Ginsberg è un divulgatore assiduo e innamorato, molto attento alle forme, ma anche alle biografie e persino a singolari aneddoti, ci cui è farcita la storia della Beat Generation. Episodi ben noti e ribaditi più volte e momenti più oscuri, sono collocati uno accanto all’altro e collezionati con cura, sempre a testimonianza del fatto che “chiunque fosse coinvolto letterariamente (nella Beat Generation) ha provato qualche tipo di rottura con l’ordinaria natura della coscienza e ha sperimentato, ha assaggiato una coscienza più espansa o una sorta di satori. C’è sempre stato, come elemento centrale d’indagine, quello della natura stessa della coscienza e di quelle che si potrebbero chiamare visioni o esperienze visionarie”. D’altra parte, le digressioni letterarie sono brillanti, puntigliose, molto attraenti, costantemente volte a ribadire “la letteratura come un nobile mezzo di indagine delle nostre menti”. Ginsberg procede illustrando le influenze e le letture: le più frequenti che si notano sono Thomas Wolfe (da non confondere con Tom Wolfe, come avrebbe puntualizzato la Pivano), Melville, Kafka, William Carlos Williams ed Edgard Allan Poe per non dire il richiamo continuo all’Idiota di Dostoevskij e a Il tramonto dell’occidente di Oswald Spengler. Quelle di Allen Ginsberg sono lezioni sui generis, certo né didattiche né accademiche. Il suo è un flusso continuo che riunisce ricordi e interpretazioni in un approccio che è, in sostanza, una testimonianza diretta. È un insegnante molto efficace perché genera entusiasmo, passione, interesse, procedendo senza schemi. Non poteva essere diversamente dato che “l’intera questione era raggiungere una relazione originale con la mente, la compassione e l’empatia, raggiungere una consapevolezza immediata piuttosto che farlo perché viene detto qui in un libro o nella società. Metà delle regole della società sono in ogni caso regole di guerra, prive di compassione”. Le uniche istruzioni sono contenute nell’appendice di Dottrina e tecnica della prosa moderna ovvero il decalogo che compone il metodo di scrittura di Jack Kerouac, e per estensione l’intero suo pensiero, ben riassunto dal comma che dice: “Componi in modo selvaggio, indisciplinato, puro, procedendo dal basso, più è folle meglio è”. Ginsberg non solo gli è molto vicino (“Se siete solidi, non dovete rispettare le regole di nessuno, non dovete neanche produrre senso, non dovete nemmeno scrivere una storia”), ma è come se, nelle Lezioni sulla Beat Generation, si fosse fatto carico di enunciare il valore di flusso che non si è mai fermato. Le convergenze sono lampanti. Dove Kerouac diceva che “perfino nel momento di maggiore piacere o soddisfazione, c’è un preciso centro vuoto di cui ci si accorge, che lo induce a pensare che il mondo fosse troppo carico di sofferenza perché qualcuno abbia avuto il tempo sufficiente per comprendere la difficoltà di fondo e l’insoddisfazione dell’esistenza”, Ginsberg ribadisce, nell’assemblare la sua versione della Beat Generation, che “tutto è poesia nel senso che lo abbiamo immaginato, lo abbiamo compreso e lo abbiamo fatto”. Tutto quello che c’è da sapere è qui dentro oppure in un cielo stellato, nella suite di un sassofono impazzito o nel sogno di una strada aperta, e di un mondo senza armi, e senza frontiere.
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