Edward Bunker descrive i bassifondi californiani mettendo in fila una serie di personaggi memorabili: Dummy, guardaspalle muto e perspicace; il tenente Pat Crowley, uno sbirro che non molla l’osso; Momo, un trafficante maldestro; Dorie Williams, l’immancabile femme fatale, e infine Stark. Ernie Stark è il peggio di tutti: è un tossico che crede di misurare la propria dipendenza, è un delatore incapace persino di proseguire i propri tradimenti, è pavido e mellifluo, eppure Edward Bunker lo consegna fiducioso alla nostra empatia perché nonostante tutti i suoi difetti (o forse proprio per quelli), Stark è un sognatore, un outsider persino su un terreno dissoluto e senza speranza. Coltiva una vita parallela dove potrebbero, e dovrebbero, trovare posto la bellezza dell’arte e dell’amore. Nella costruzione della personalità, gli effetti dell’eroina si fanno sentire, distorcendo la cornice in cui Stark si muove: si mantiene a distanza, nella sua casa sull’oceano, come se avesse un’altra possibilità, una vita segreta che attende soltanto di manifestarsi. A fasi alterne, ci crede anche Stark, per poi insinuarsi, ancora, nelle pratiche più torbide e ambigue per riempirsi le tasche di dollari. L’obiettivo è quello di un colpo di dimensioni tali da mettersi in un giro di affari più grande (e magari rilevare un bar, o un’altra attività legale), liberarsi dal giogo della polizia, rallentare l’uso della droga e prendersi Dorie. Può contare solo su se stesso e James Ellroy lo descrive così: “Il personaggio che dà il titolo al libro è un tossico e un truffatore che cerca di riempirsi le tasche di quattrini e le vene di eroina. È in rotta di collisione con gli sbirri. Va in giro a fottere il mondo degli onesti. Va matto per agli abiti di lusso, le macchine veloci, le puttane di classe. Si aggira spavaldo per il mondo del quadruplo gioco. Ha stile. È così cool che è addirittura gelido”. È proprio un bel furfante, inventa un piano dopo l’altro e tutte le storie necessarie per metterli in atto, è cinico quanto inconcludente. Si muove veloce ed elegante, ed è capace di vendersi al miglior offerente, come quando proclama: “Tutto il mondo sta male. È un giungla di leoni, volpi e serpenti. E io sono tutte queste cose insieme quando ce n’è bisogno”. Bunker conosce benissimo il suo personaggio, lo segue da vicino, e sa immedesimarsi nei suoi pensieri. Non aggiunge molto altro, lasciando a quello stile scarno, limitato, preciso, il compito di metterlo in risalto. Come ha scritto Jennifer Steele: “Eddie (Bunker) ebbe la possibilità di osservare il ventre molle dell’esistenza da una prospettiva unica. Non cercò mai di imporre un preconcetto, né di ignorare o distorcere un fatto per rendere una tesi più persuasiva. Era ossessionato dalla verità e dalla ricerca della verità”. Quando Stark è costretto, dalla polizia, dai suoi soci, dalle sue malefatte a nascondersi e a defilarsi. Non ha più alternative ipotizza una fuga con una prospettiva limitata (“Chi se ne fotte. Andiamo all’inferno insieme”), ma è trascinato, con Dorie, verso il Messico, dove lo aspetta la resa dei conti, e una discreta scia di cadaveri. La storia di Stark finirà sulla strada, come è inevitabile, ma con un ultimo colpo di scena, perché con Bunker non si sa mai, le sorprese sono dietro l’angolo.
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