L’amore nei giorni della rabbia si consuma tra “la luce particolare di Parigi, quel lume perlaceo, traslucido sopra i tetti grigi” e quella di Lisbona, che “sembra ancora un vecchio veliero di legno a tre alberi che rolla, che sbanda completamente! L’intera città sembra ancora un antico castello merlato che sta cadendo a pezzi, che aderisce al fianco di un colle, un formicaio devastato”. Lisbona appartiene al passato di Julian Mendes, banchiere di origini portoghesi che incontra l’americana Annie, pittrice e insegnante nella Parigi proiettata in un futuro imprevedibile dalle rivolte della primavera del 1968 con “una sensazione di euforia e di assenza di peso, come se le leggi morte della vita quotidiana che bloccano ognuno al proprio posto si fossero improvvisamente dissolte”. In quei frangenti, Julian, di famiglia ricca, cerca di convincere Annie che è comunque “dalla parte giusta” e L’amore nei giorni della rabbia si snoda attraverso i suoi tentativi di spiegarsi e di convincerla del suo ruolo ambivalente. La dimensione dell’amore tra i due resta eterea, confinata negli incontri notturni, negli appuntamenti nei bistrot, mentre tra un corteo e l’altro, tra una barricata e un incendio, attorno a loro “c’era la speranza che tutta la vita avrebbe potuto rinascere e trasformarsi. Avrebbero potuto cambiare gli antiquati concetti di amore, di matrimonio, di lavoro, dell’unione fra uomini e donne, dei modi di percepire la realtà stessa, che non sarebbe mai più stata uguale a prima”. È il maggio francese del 1968 e vent’anni dopo Lawrence Ferlinghetti ammette che “anche se era tutto un’illusione”, si poteva comunque intravedere quella che “era invece la prima articolazione, il primo scoppio di una nuova visione del mondo, dell’uomo e della donna. Era una nuova consapevolezza, o un’antica consapevolezza riscoperta”. È chiaro che Julian e Annie vivono in una dimensione dimensione onirica, così come nelle strade rimane “l’eco di un sogno spaccato della vita terrena, il mai realizzato sogno della vita umana ideale, l’estate utopica”. In quel contesto, gli eccessi verbali e le frasi senza sosta e senza fine che sfuggono di mano a Lawrence Ferlinghetti sono all’ordine del giorno e determinano un ritmo a corrente alternata, con lunghi momenti di stasi e fughe precipitose, con spezzoni di poesia e cronache a distanza di quei giorni tumultuosi, dove la “la rabbia non era l’allegria, anche in traduzione”. La storia prende la piega drammatica di un ambiguo complotto verso il finale, in linea con i sommovimenti di quell’anno, ma che però rimane irrisolto, e forse è giusto così. Quando Julian e Annie si lasciano in stazione con l’obiettivo di ritrovarsi sui Pirenei è chiaro che la cornice nel suo complesso è più romantica che altro. Mentre Julian si avvia alla sua improbabile missione, l’ultimo viaggio di Annie è grazie a un treno con il nome di un vento che attraversa la Francia, verso sud, luogo dell’elezione della Lost e della Beat Generation. Non è una coincidenza: pur con tutti i suoi limiti, e mettendo in conto anche il bricolage letterario (con i richiami a Blaise Cendrars, Leo Ferré, André Malraux, Albert Camus e, ça va sans dire, a Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir) L’amore nei giorni della rabbia apre una bella finestra su quel momento storico, preludio di quello che “sarebbe stato un gioco completamente nuovo, e avrebbe spazzato il mondo” e, non di meno, “l’avrebbe sospinto nel ventunesimo secolo”. L’uso reiterato del condizionale induce a credere che Lawrence Ferlinghetti avesse già capito lasciando intuire che, più di una rivoluzione un po’ strana, ed evaporata in fretta, quei moti furono l’espressione del desiderio (ingenuo, inalterato e inascoltato) di “un mondo nuovo”.
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