Come pietre che rotolano, senza alcuna direzione, sconosciuti persino a sé stessi, Jamie e Bill si incontrano a bordo di un Greyhound e si trovano nella notte americana a condividere “la ragione di ogni loro rimpianto e la giustificazione delle loro ferite”. Jamie Mays viaggia con due bambine, è “troppo stordita per chiedersi dove fosse finita la sua giovinezza” e ha solo un vago senso della meta che dovrebbe raggiungere. Bill Houston ha già provato la parte sbagliata della strada e, nonostante “le loro frettolose partenze, i freddi addii, e i deboli spostamenti”, sente crescere un legame con Jamie e la insegue “in the middle of nowhere”, forse come un’ultima, possibile chance di redenzione. Circondati da diseredati, disperati e maniaci che vivono di espedienti, incapaci di immaginare “una vita decente”, eppure coerenti alla loro dissoluzione, Jamie e Bill vivono “on the road” quello che Denis Johnson definisce “un crepuscolo perpetuo e uno sfinimento tutto privato” che comprende gli estremi tragici ed efferati di uno stupro (per Jamie) e di un omicidio (per Bill). Sono Angeli di una desolazione estrema, all’inseguimento di una fievole scintilla, che rimane inafferrabile. È nell’unico momento dai contorni familiari, quando la madre dei fratelli Houston li vede riuniti sotto il tetto di casa sua, per quella che sarà l’ultima volta insieme, che Angeli svolta verso il drammatico finale. Con il sottofondo di Light My Fire dei Doors, è proprio l’istinto materno che riesce a cogliere con efficacia quel fugace istante: “In quel momento fuori del tempo, non riusciva a preoccuparsi del fatto che alcune di quelle persone si erano lasciate andare al fato ed erano divenute pericolose. Non riusciva a preoccuparsi del fatto di aver già assistito a quel genere di conciliaboli tra uomini di quel tipo: nel bel mezzo di una riunione familiare incominciavano a parlare per frasi brevi e con aria distaccata in modo che nessuno potesse udirli. In seguito succedevano sempre cose terribili”. La combriccola degli Houston progetta una rapina che, almeno nelle intenzioni di Bill, dovrebbe servire a dare un futuro a lui e a Jamie. In effetti sarà proprio così, soltanto che per una malefica legge del contrappasso, i loro destini saranno separati nella forma, ma identici nella sostanza. Nel disastro seguito alla rapina, Bill Houston finirà in prigione, dove capirà che “non era la punizione a far male, era il fatto che la punizione non era mai sufficiente”. La condanna a morte, a quel punto, gli apparirà come una soluzione radicale, definitiva e liberatoria da una vita perduta. Denis Johnson sa tracciare “il vuoto dietro le porte e dentro le cose” senza descriverlo, ed è straordinario nel raccontare le lunghe e cupe giornate dentro le mura e dietro le sbarre di Bill, così come di Jamie che nel frattempo, dopo anni di abusi e di vaneggiamenti, viene ricoverata in un manicomio, con annessa prescrizione dell’elettroshock. La conclusione a cui giunge lei, in uno dei rari momenti di lucidità, vale per entrambi: “Bastava ascoltare le notizie per capire che il mondo si stava spaccando in mille pezzi. Non aveva la più pallida idea di cosa sarebbe uscito da quell’esplosione quando fosse finalmente venuto il momento”. Angeli è tagliente, spietato e reso altrettanto concreto e molto credibile dallo stile inimitabile di Denis Johnson: un’aspra apologia dei loser la cui unica e sola fortuna è quella di essere ancora vivi.
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