Frutto di un patchwork in perfetto stile Tim Burton, è una sorta di autobiografia che mescola l’intervista, il racconto, le immagini e le parole senza soluzione di continuità, dai primi disegni per la Walt Disney ai successi con Johnny Depp: c’è tutta la storia di un regista che ha saputo muoversi in maniera (quasi) sempre brillante in quella contraddizione reale tra eccentricità e banalità che è Hollywood. Un visionario bizzarro e originale che fin dalla giovane età guardava il mondo in senso unico e contrario che poi ha capito che “in questo tipo di eccitazione, di piccoli particolari anomali o di nuove immagini capaci di sorprenderti, sta la specificità del fare cinema”. Ricorda Tim Burton proprio nelle prime pagine: “Io sentivo che spesso i mostri venivano visti dalla gente in maniera sbagliata e che in molti casi erano più sinceri di tutti gli umani che li circondavano”. Il ricordo dell'infanzia è un po' il leitmotiv che lo guida nell’organizzare il suo cinema e la sua arte del raccontare attraverso le immagini e la riflessione sul quel mondo parallelo, dove tutto è magia, torna costante. Molto interessante quando Tim Burton offre una riflessione sui trucchi e sui costumi (una costante notevole nei suoi film) a partire dai giochi di Halloween: “Le maschere in America simboleggiano il desiderio di nascondersi. Eppure ricordo che, quando andavo alle feste di Halloween con una maschera, io la consideravo come un’occasione, una possibilità per esprimermi. Nel fatto di nasconderti c’è qualcosa di paradossale, perché finisce che ti senti più disponibile e più libero. La gente comunica un po’ di più. E’ anche più disinibita. E’ qualcosa di tipico della nostra cultura, l’ho verificato anche su me stesso. Quando la gente indossa un travestimento, ne viene fuori una strana forma di libertà. A pensarci, dovrebbe essere il contrario, ma non è così”. Questa sincerità, a tratti disarmante, distingue la sua storia anche quando deve affrontare le logiche ciniche dell'industria dell'intrattenimento (“E c’è una gerarchia nello show business: non puoi mettere in croce quelli che fanno film di serie A, ma puoi farlo con tutti gli altri”, dice senza mezzi termini) o l’arte di affrontare il mondo irreale del cinema, dove idee e budget sono sempre due pugili sul ring. Eppure il cinema per Tim Burton si svela per gradi, anche nel confronto continuo e serrato con la complessa realtà delle produzioni cinematografiche: “Non è una scienza esatta, è un mondo davvero strano, ma devi fare del tuo meglio. Non ho mai assunto l’atteggiamento dell’artista puro che non si preoccupa d’altro che del suo film. Io cerco solo di non tradire me stesso e di fare solo quello che so fare”. I risultati si vedono perché il cinema di Tim Burton ha tutta una sua originalissima e sferzante poetica. Però anche in questo caso se il regista tende a uno sguardo trasversale quando dice che “le immagini non sono mai letterali perché sono sempre legate a delle sensazioni”. Il cerchio si chiude lì ed è evidente che il cinema per Tim Burton è qualcosa di più di affari e intrattenimento. Contiene degli elementi di consapevolezza, surreali e fantasmagorici finché si vuole, ma sempre molto efficaci che riportano al punto di partenza. Alla dimensione del sogno, dello stupore e della meraviglia, che Tim Burton confessa così: “Ho scoperto che capisci molte più cose di te stesso se non cerchi subito di razionalizzarle. Se cerchi di mantenerti a un livello intuitivo. Poi ti guardi indietro e scopri che certe immagini ricorrono spesso. Allora cerchi di capire cosa vogliono dire, da dove vengono. E così capisci molto di più di te stesso”. Dopo anni e anni di grandi film, di produzioni risicate all'ultimo dollaro o set milionari, Tim Burton (in compagnia di Johnny Depp, che gli scrive le introduzioni e campeggia con lui in copertina) è arrivato a capire se lavori nella cinematografia (ma forse vale per tutto lo showbiz) “ogni giorno è una lotta. Ma l’importante è cercare di difendere almeno un minimo di libertà”. Bello, interessante e arricchito da un variegato apparato iconografico che rende (il giusto) omaggio alle visioni di Tim Burton.
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