Le cronache settimanali sul Los Angeles Free Press sono un pozzo senza fondo nell’epopea di Charles Bukowski. La sua rubrica, il Taccuino di un vecchio sporcaccione, ha fornito pagine e pagine che sono confluite in gran parte nel libro omonimo e che trovano una nuova collocazione in La campana non suona per te. È il suo apprendistato, tenendo conto che per il Buk “il modo migliore per studiare scrittura creativa è vivere”. Sfilano prestazioni erotiche che spesso si trasformano in avventure surreali, vanno in scena epici scontri verbali (“Puro cinismo”? Puro allenamento”), vengono coltivate rovinose abitudini che ruotano attorno a necessità limitate: sigarette, alcol, sesso. L’ordine del giorno varia a seconda dell’umore: Bukowski è convinto che “deve essere magnifico avere una mente omologata alla massa, qualcuno ti dice che sei un essere umano e tu ci credi”, di conseguenza è il principe degli outsider in esilio nella sua stessa stessa città. Il suo incedere traballante non deve ingannare: il Buk si è accorto che “il mondo era soprattutto per gli altri” e non si tormenta più del tanto nelle camere illuminate dalle insegne al neon, con luce che entra da fuori perché dentro è solo buio. È facile immaginarlo in quell’alone, versarsi un po’ di vino, scrollare la cenere e fare il punto della situazione: “La vita è stata bella, orribile ma bella e pochi eroi ci hanno dato la spinta per andare avanti. Forse eroi scelti male, ma chi cazzo se ne frega”. Bukowski nella versione più cruda e grezza è una macchina da scrivere che non conosce soluzione di continuità, che procede senza distinguere una vita dall’altra, che imperversa su e giù per Los Angeles infilandosi in tutti i guai, e più sono incomprensibili, e meglio è. Giova ricordare che, per quanto nei suoi bassifondi, siamo nella capitale del cinema e Bukowski vede la vita scorre come “un film al rallentatore senza poterlo fermare. È una cosa di rara bellezza. Non posso fermarlo. Non voglio fermarlo. È Cary Grant. Fossetta sul mento per l’eternità. È l’insieme di tristi cose meravigliose e orribili. È qualsiasi cosa, le stronzate che ho fatto senza cuore e tutte le stronzate che farò in futuro senza cuore, e tutte le stronzate che verranno fatte, tanto per, a te e a me e a tutti quanti”. Si può credergli e si può dubitare delle sue invenzioni pirotecniche, ma bisogna ricordare che Bukowski popola la sua rubrica con “brandelli d’anima” collezionati con un vocabolario limitato e con un un particolare senso dell’umorismo che spesso sfocia nel nonsense o nel sarcasmo. Irriducibile, incorreggibile, consapevole di essere dalla parte sbagliata della strada, Bukowski ha il dono inalterato della sincerità perché in cima a tutte le puntate del Taccuino di un vecchio sporcaccione concede uno dei paradossi che da solo regge la sua intera filosofia di vita: “Facciamo cose senza sapere il perché e dopo non ci interessa più il motivo per cui le abbiamo fatte”. È davvero così e tra l’altro è proprio con queste pagine che lo scopre Tom Waits, ed è amore a prima vista: “Pensavo fosse incredibile. Questo tizio è lo scrittore del secolo e pubblica su questa specie di carta straccia, il che mi pareva abbastanza poetico e perfetto”. Fantastici, tutti e due.
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