C’è
tutto il West in Lonesome Dove:
la leggenda e la realtà della terra promessa, le durissime
condizioni della vita sulla frontiera, il fascino di orizzonti
straordinari, la moltitudine di cowboy, fuorilegge, soldati,
giocatori d’azzardo e cacciatori di bisonti, comanche e kiowa,
messicani e irlandesi, coloni, puttane, sceriffi e altri disperati
che sanno di aver passato gli anni migliori “a combattere dalla
parte sbagliata”. Questo vale soprattutto per Call e Gus alias
Augustus, due ranger del Texas, veterani delle guerre indiane e degli
scontri con i banditi, che hanno avviato un ranch, proprio a Lonesome
Dove che è dove tutto ha inizio e
fine pur essendo un buco nella terra del border. E’ la partenza e
l’arrivo, perché quando si ripresenta Jake Spoon, un vecchio
compagno d’armi di Call e Gus, l’idea di trovare un posto nuovo
(e di appropriarsene), che in sé è uno dei miti fondanti
dell’America, diventa il suggerimento di trasferirsi nei territori
in gran parte inesplorati del Montana. Il viaggio principale, lungo
tutto l’asse del West e attraverso Texas, Kansas, Wyoming e
Nebraska, ha affluenti e diramazioni lungo tutto il suo percorso,
proprio come i fiumi che attraversa. Un guado sicuro non c’è mai e
la prima perdita avviene per i morsi di un branco di micidiali
mocassini acquatici. Ci sono serpenti ovunque (crotali, in genere),
ma sono un pericolo relativo per i cavalieri (“Se rallenti per un
serpente, tanto vale che cammini”). Altre intemperie sono ben più
dolorose: la sete e la fame nella siccità, il freddo e i fulmini nei
temporali, le asperità delle piste e tutti gli ostacoli naturali,
flora e fauna comprese, di un paesaggio mutevole, bellissimo e
crudele, che si stringe attorno alle vicende umane, nonostante gli
spazi infiniti. Gus e Call sono i primi a restare incastrati dal
bagaglio che si portano dietro. Sono uno l’opposto dell’altro:
Gus, che visto il nome ha qualcosa di imperiale, è logorroico,
scansafatiche, sicuro di sé, con una vista (e una mira) infallibile,
mentre Call è ossessionato dal lavoro, lunatico e ombroso. Si
compensano, perché sono entrambi combattenti formidabili con un’idea
sommaria della giustizia che coincide con la vendetta perché “se
ti metti con un fuorilegge, muori con lui”. Le esplosioni di
violenza sono repentine e lancinanti e determinano anche i furiosi
cambi di registro di Larry McMurtry. Succede quando incontrano
indiani non pacificati, o la feroce dei dei Suggs, o prima ancora
quando l’inafferrabile Blue Duck rapisce Lorena. Lei è solo la
prima di una mezza dozzina di personaggi femminili che determinano i
destini di chi è partito da Lonesome
Dove, con un riguardo particolare
dovuto Elmira, che pare insopportabile e forse è soltanto un po’
troppo indipendente, e a Clara, che è una meta segreta nel cuore di
Gus. La loro presenza contribuisce in modo determinante
all’equilibrio che distingue il tono di Larry McMurtry: Lonesome
Dove si snoda come un’infinita
ballata e a più di trent’anni dalla sua comparsa (risale al 1985)
rispecchia alla perfezione l’epigrafe di T. K. Whipple che lo
introduce: “Tutta l’America si trova in fondo a una strada
selvaggia, e il nostro passato non è morto ma vive ancora in noi. I
nostri avi avevano la civiltà dentro; fuori, la natura selvaggia.
Noi viviamo nella civiltà che loro hanno creato, ma in cuor nostro
quel mondo selvaggio perdura. Viviamo ciò che sognarono e ciò che
loro vissero, noi lo sogniamo”. Larry McMurtry, alla fine di tutte
le peregrinazioni, degli scontri a fuoco, delle esecuzioni e dei
duelli, delle fatiche di amori trovati, perduti o dimenticati, giunge
alla stessa conclusione perché dall’argilla del Rio Grande
all’erba florida del Montana “la terra è un grande ossario. Però
è bella, alla luce del sole”. Epico.
Nessun commento:
Posta un commento