A
saldo delle inclinazioni ideologiche, Jack London si è sempre
schierato dalla parte degli ultimi, facendo notare che a generare la
spaccatura è “la mancanza del benessere che non è mai stato
creato”. Nell’assemblaggio di Il senso della vita (secondo
me), la prima parte ha il tono e il ruolo del pamphlet, anche se
Jack London ha ragioni da vendere quando dice che “con le risorse
naturali del mondo, le macchine inventate, una organizzazione
razionale della produzione e della distribuzione e una parimenti
razionale eliminazione dello spreco, i lavoratori sani di corpo non
dovrebbero lavorare più di due o tre ore al giorno per nutrirsi,
vestirsi, pagarsi un alloggio, istruirsi e concedersi una giusta
quantità di beni secondari. Non dovrebbero esistere più il bisogno
materiale e le condizioni disagiate, né bambini sfruttati, né
uomini, donne e bambini che vivono e muoiono come bestie. Non
dovrebbe essere solo la materia a essere padroneggiata, ma anche la
macchina”. Jack London è stato un precursore perché ancora una
decina d’anni dopo Lewis Mumford articolava lo stesso concetto
nella Storia dell’utopia: “Le macchine la cui produzione
era così grande da poter vestire tutti gli uomini e i nuovi metodi e
i nuovi strumenti in agricoltura che promettevano raccolti così
abbondanti da poterli nutrire tutti, proprio quegli strumenti che
dovevano fornire all’intera comunità i fondamenti concreti per una
vita felice, si trasformarono per la maggior parte della gente, che
non possedeva né capitali né terre, in qualcosa di molto simile
agli strumenti di tortura”. Su questo l’America narrata in Il
senso della vita (secondo me) collima con la definizione di Karl
Marx: “Un paese in cui lo sviluppo industriale sia più avanzato
che in altri presenta semplicemente a questi ultimi un’immagine del
loro futuro”. Più avvincenti i due racconti che, collegati tra
loro da un sottile filo rosso, compongono la seconda parte, Il
sogno di Debs e A sud dello Slot. Il sogno di Debs,
in particolare, ha una verve tutta sua: è crudo, realistico e
intenso. Racconta che “per un’intera generazione lo sciopero
generale era stato il sogno delle organizzazioni dei lavoratori”, e
quando si manifesta lo osserva dal punto di vita di un ricco
faccendiere che si ritrova, all’improvviso, a vivere senza servitù,
senza agi e senza le superflue abitudini: “Fu soltanto quando
arrivai al club nel pomeriggio che ebbi una prima sensazione di
allarme. Regnava una totale confusione. Non c’erano olive per i
cocktail, e il servizio era caotico”. Nel raccontare gli effetti
dello sciopero generale che trasforma San Francisco, Jack London
ribalta, con perfida ironia, gli schemi e il tratto è ancora più
incisivo in A sud dello Slot, a partire proprio dalla linea di
demarcazione che divide la città, ma anche le classi, è netta, per
quanto invisibile. Quando Freddie Drummond, professore e ricercatore
universitario, diventa Bill Totts, per capire come si vive davvero A
sud dello Slot, si sdoppia in un’impossibile schizofrenia. Bill
Totts alias Freddie Drummond si troverà a dover scegliere da quale
parte stare, e la scelta avverrà ancora nel corso di uno sciopero.
Un racconto che è complementare e contiguo a Il sogno di Debs,
e per tornare a Il senso della vita (secondo me), lo è anche
al richiamo che “un semplice capriccio dello spirito non può far
nascere una rivoluzione mondiale”. Su questo non c’è dubbio.
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