Nella
Grouse County non succede nulla, è tutto scandito da “un
ingranaggio nella macchina delle stagioni”, perché l’agricoltura,
vita e lavoro nel Midwest, asseconda i tempi della natura e del
clima. La prima, elementare definizione del paesaggio spiega come La
fine dei vandalismi sia cadenzata da eventi fuori dalla
portata umana, e come nell’esistenza dei suoi abitanti non ci sia
“nessuna magia, ma solo duro lavoro tutti i giorni della
settimana”. Scrutando con attenzione tra le pagine, si capisce
l’importanza di un morso di un cane, dell’elezione di uno
sceriffo, di una festa alla fine dell’anno scolastico, di una
canzone alla radio. Piccoli particolari si rivelano prima importanti
e poi fondamentali ed è proprio qui che Tom Drury concede
moltissimo. Dispone i personaggi in verticale sulla vasta
orizzontalità del Midwest, li illumina uno alla volta e tutti
insieme, dando a ciascuno un nome e un nome proprio a ogni luogo. La
Grouse County, che raduna Grafton, Reinbeck, Stone City, Morrisville,
Wylie, Pringmar, Chesley, Lunenberg, Martin Woods, Pinville, Margo,
Romyla e Boris, è una rete di “small town” come effemeridi di un
pianeta che non c’è, dato che “tutti questi nomi non avrebbero
importanza, se non per illustrare la delicatezza della situazione”.
E’ l’apologia del Midwest e la coscienza di una comunità matura
da un mondo fatto di dettagli (in apparenza) insignificanti, eppure
che si fondono uno con l’altro, che si compattano come se fossero
parte della terra rivoltata e coltivata a fatica. Lo spirito con
cui La fine dei vandalismi racconta l’appartenenza
al territorio è quello illustrato a suo tempo e con grande
precisione da Richard Ford: “Il senso del luogo in cui si vive è
in genere poco cosciente e una delle funzioni della letteratura è
proprio quella di creare un rapporto con l’ambiente creando un paesaggio dettagliato e popolandolo di
linguaggio in modo da dare al lettore il senso di un rapporto che
prima non c’era e che viene alla luce soltanto quando lo
immaginiamo, quando lo incarniamo nel linguaggio che inventiamo”.
Su una differente longitudine, ma con identica attitudine, La
fine dei vandalismi assorbe il lettore perché Tom Drury lo
mette a suo agio dentro un tessuto di “rural route” per dirla con
John Cougar Mellencamp, il vero anfitrione del Midwest, citato (non a
caso) al centro di una fittissima colonna sonora. I personaggi sono
congruenti con il paesaggio, ma tendono a respingersi come magneti,
una volta accostati, perché si “conoscono tutti, ma nessuno sembra
conoscere loro”. Nell’intimo, e in questo Tom Drury è
superlativo, sono tutti uguali e ogni sforzo per rendersi differenti
non fa che avvicinarli e allontanarli nello stesso tempo. Il
paradosso è il senso ultimo della vita nella Grouse County, nel
Midwest e nella provincia (americana e non). Le differenze sono
caratteriali più che sostanziali: uno sguardo, un tono di voce
(soprattutto), un’abitudine (parecchie abitudini) formano la
costellazione di punti di riferimento su cui si staglia la voce di
Tom Drury, limpida, anche elementare (volendo), ma efficace, diretta,
colloquiale, come una storia avvincente (e qui siamo solo all'inizio
di una trilogia) raccontata da un estraneo al bancone del bar o nel
parcheggio di un motel. Più che leggerlo, bisogna sentirlo.
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