Secondo Harold Bloom,
Wallace Stevens è, sì, “un poeta canonico, forse il maggior poeta
americano dopo Walt Whitman ed Emily Dickinson”, ma anche di fronte
a questa monumentale collezione, rimane il sospetto che la sua
collocazione rimanga sempre un po' indefinita. Dipenderà dal fatto
che, pur riconoscendo la sua severità formale, come diceva ancora
Harold Bloom, Wallace Stevens è stato “socialmente reazionario”,
considerazione priva di connotati politici e dovuta al carattere di
“eremita della poesia”. La condizione di solitudine, annodata al
libero esercizio della lettura e della scrittura, conduce in “parti
di un mondo” fatto di “parole precarie e suoni ostinati”.
Qualsiasi particolare può essere avviato alla trasformazione in
versi perché “la descrizione è un elemento come l’aria o
l’acqua” ed è soltanto lo stadio iniziale per cui la poesia,
almeno nelle mani di Wallace Stevens, diventa “una risposta alla
necessità quotidiana di capire il mondo”. Più che del poeta,
Wallace Stevens ha quel “senso del prestigiatore”, capace di far
apparire e poi evaporare tra i versi “montagne coperte di gatti”,
“le scogliere irlandesi a Moher” e “un vecchio filosofo a
Roma”, “pietre grigie e piccioni grigi”, “l'uomo con la
chitarra blu” e “una donna d'oro in uno specchio d'argento”, le
“campane d'inverno” e “le aurore d'autunno”. Da profondo
“conoscitore del caos”, Wallace Stevens sa attribuire a ogni
stagione la perfezione di cadenze e luci appropriate, ma è nel
“trasporto dell'estate” che trova il suo apogeo, non tanto per
ragioni climatiche, quanto perché “la mente depone il suo
disagio” ed è in quel momento che “la notte estiva è come una
perfezione del pensiero”. L'enormità della raccolta sfoggia una
volta di più la ricchezza della “materia poetica” di Wallace
Stevens in tutta la varietà delle osservazioni e delle meditazioni,
degli studi e degli inni, degli adagi e degli epigrammi. Un fiume che
scorre trionfale, trascinando nella corrente credenze, finzioni,
cronache e apparenze, ma che all'osservatore scrupoloso non riuscirà
a nascondere le sue proprietà naturali. Notava infatti Seamus
Heaney: “La combinazione in Stevens di esibizione sgargiante e una
consapevolezza di fondo del senso ordinario delle cose ha una
durezza intellettuale al suo centro, un atteggiamento che non viene a
patti con nessun tipo di illusione o collusione”. Una valutazione
importante perché Wallace Stevens ricorda con una certa frequenza,
con toni e metafore differenti che a determinare il corso e l'ordine
della vita sul pianeta della sua poesia non sono idee della cosa, “ma
la cosa in sé”. E' lo stesso motivo per cui Ronald Sukenick, uno
dei primi scrittori ad affrontare in modo sistematico la poesia di
Wallace Stevens, la consideri come il frutto di un'incessante ricerca
di “uno stato mentale”. La destinazione pare inevitabile poiché
“viviamo nella mente”, solo che rimane da attraversare la
distanza dalla realtà, che “è solo la base. Ma è la base”. Il
genio di Wallace Stevens è proprio nella libertà dell'astrazione,
che attinge a quell'unica, prosaica sorgente e si eleva “celeste e
terrestre” nello stesso tempo. L'alfa e l'omega, e tutto quello che
c'è nel mezzo. Indispensabile.
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