“Gli affetti familiari
si indossano solo in particolari occasioni” diceva Karl Kraus e
questa è una di quelle. Nell’indagare il legame con padre e madre
Richard Ford s’imbatte, inevitabilmente, nelle circostanze del
matrimonio dei genitori. Un’ambivalenza esplicita fin dal titolo: è
proprio Richard Ford che sta in mezzo, ma nello stesso tempo è
quello che unisce Tra loro Parker ed Edna a determinare la
prospettiva del racconto. Doppio anche nella sua intima costruzione,
visto che le due parti (Lontano. Ricordando mio padre e Mia madre, in
memoriam) sono state scritte a distanza di trenta’anni, Tra loro
premia lo sforzo autobiografico di Richard Ford che, figlio unico e
tardivo, si trova oggi a fronteggiare “la spietatezza del tempo che
passa”. L’adattamento dei ricordi, che non è nemmeno sfiorato
dalla nostalgia ed è molto accurato, as usual, parte da un periodo e
un luogo, nel sud degli Stati Uniti a cavallo tra la prima e la
seconda metà del ventesimo secolo, in cui “tutto era accettabile,
ma niente lo era del tutto”. Nel ritrarre il padre, Richard Ford
ricostruisce una parte essenziale del cosiddetto “sogno americano”:
Parker è un commesso viaggiatore, incallito fumatore, bevitore, gran
lavoratore, intraprendente e fiducioso, convinto che la buona
volontà, la perseveranza e il lavoro quotidiano possano garantire il
futuro, in ogni caso. Il tran tran di “una vita di piccoli fatti”,
una casa comprata, un’auto nuova, un prestito, perché “nessuno
aveva grandi esigenze” e comunque “non c’era nessuna
disponibilità”, garantisce a Richard Ford un’infanzia condita da
una felicità non fantasmagorica, ma solida, in cui matura l’embrione
di una latente insoddisfazione che lo porta a considerare come “l’incompleta conoscenza delle vite dei nostri genitori non è
una condizione delle loro vite. E’ una condizione soltanto delle
nostre. Caso mai, ti obbliga a renderti conto che la sai meno lunga
su tutto quanto c’è di rispettabile, perché i bambini restringono
il campo di tutto ciò di cui fanno parte. Mentre essere ignaro o
solo capace di fare congetture sulla vita di un’altra persona fa sì
che quella vita sia libera di essere qualcosa di più di ciò che era
veramente”. Il nocciolo e il cuore di Tra loro sono proprio questi:
“la gente viene e va”, anche nelle consuetudini familiari, e la
“dimestichezza” nel e con il ruolo dei genitori va dimenticata.
Nella seconda metà, il tono si fa ancora più etereo perché rimasti
soli, Richard Ford e la madre si avviano a vite autonome, separate da
distanze non relative, e nella parte conclusiva Tra loro è il
tentativo di conferire “una forma e un’economia che diano una
coerenza fedele, attendibile, seppure a volte drastica, alle tante
cose ineguali che ogni vita contiene”. Il limite congenito di Tra
loro è nella concentrazione della storia: l’assemblaggio dei
frammenti, non privo di ripetizioni (ammesse fin dall’introduzione),
con qualche insistenza, porta il memoir a livelli confessionali,
anche se, per fortuna, Richard Ford è uno storyteller superiore (su
questo non c’è dubbio) per cui riesce a contenere le sue
pensierose analisi in un contesto stilistico sempre attraente e
convincente. L’efficacia del racconto (preso per quello che è) non
è in discussione: la narrazione procede senza particolari scosse e,
se non altro, le figure della madre e del padre non diventano
personaggi di Richard Ford, piuttosto i testimoni e le prove che
“dopo tutto, più vediamo pienamente i nostri genitori, più li
vediamo come li vede il mondo, maggiori sono le nostre possibilità
di vedere il mondo com’è”. L’assioma non è irresistibile e,
nonostante gli ammirevoli tentativi, quello che succede Tra loro
resta un bel punto di domanda.
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