Una
figlia straordinaria, Caitlin Cait Mulray, spinta dall’istinto
della buona samaritana, induce l’intera Falls, North Carolina a
condividere una condizione di eccezionalità. In effetti, la
cittadina immaginaria dove si svolge la trilogia Locals
Souls rimane solo sullo sfondo:
tutto succede tra le mura domestiche e una strada a fondo chiuso in
un quartiere residenziale. Falls è una località singolare, che pare
limitata a quel cul de sac dove vivono Cait, i due fratelli gemelli e
la madre, Jean Mulray. Restano in sospeso, e sono relative, le altre
indicazioni, River Road, il parco a sette chilometri o il ghetto dove
Cait va a distribuire generi di prima necessità. L’entusiasta
generosità di Cait è unilaterale, più che francescana, e finché
si limita a dispensare il superfluo, qualche elettrodomestico usato o
le scarpe della madre resta più o meno tollerabile. Quando Cait,
alla vigilia del passaggio all’università, decide di passare
un’estate in Africa, nella sua storia ci si accorge che Anche
le sante hanno una madre, e si apre
una frattura continentale che non è soltanto geografica, anche se la
distanza inciderà parecchio. E' proprio il romanzo che si divide,
quindi si sdoppia. A partire dal rapporto tra madre e figlia che
viene duplicato tra Cait e Jean, e Jean e Ice. Le due parti del
romanzo stesso si specchiano a partire dal colpo di scena magistrale
che Allan Gurganus piazza lì, in mezzo, nel posto dove deve stare,
come una ferita che separa i lembi della stessa pelle che non
vogliono più stare insieme. Quel momento di Anche
le sante hanno una madre fa apparire
tutto ciò che l’ha preceduto giusto un elaborato prologo e tutto
quello che segue un lunghissimo epilogo. La struttura in sé è
singolare, se non proprio geniale, perché il coup
de théâtre in effetti, come tutto in Anche
le sante hanno una madre, è doppio,
e non solo, è inizio e fine, alfa e omega, come direbbe il poeta
preferito di Cait, ovvero Wallace Stevens.
C’è un aspetto critico con cui Allan Gurganus, non senza una
congrua dose di ironia, sottolinea alcuni cliché (a partire
dall’esasperazione di un altruismo che conduce inevitabilmente
all’Africa), ma soprattutto le contorsioni del rapporto tra madre e
figlia, che s’inerpica tra la sfrontata innocenza di Cait e le
frustrazioni di Jean (una poetessa, prima di diventare moglie, madre
ed ex moglie). Il romanzo è perfetto, il ritmo è sempre incalzante,
la descrizione dei personaggi (che sono tutto, con i dialoghi) sempre
scrupolosa. L’abilità di Allan Gurganus è quella di riuscire a
mantenersi in equilibrio perché in Anche
le sante hanno una madre mantiene la
tragedia sospesa sopra la commedia e la commedia si specchia nella
vera tragedia, quella dell’incomunicabilità. Una delle poetesse
più apprezzate da Jean, Elizabeth Bishop direbbe che Anche
le sante hanno una madre scorre
“come se un fiume trasportasse tutte le scene che ha mai
rispecchiato chiuse nelle sue acque, e non a galla, effimere,
fluttuanti”. L’immagine è consona: la tensione è costante
perché deriva da Jean, dal suo essere e non essere, dalle
possibilità sfiorate, dagli effetti collaterali del tirare avanti,
nonostante tutto (i figli, la separazione, e quindi di nuovo i figli
da sola, e poi Cait, e l'Africa) e dalla capacità di Allan Gurganus
di leggere le fragili psicologie dei personaggi, persino i loro
silenzi, in mezzo alle discussioni e alle giornate che non finiscono
mai. Più di tutto, ha il tatto per portare a termine, senza un
singolo cedimento, una storia a fior di pelle, bruciante e delicata
nello stesso tempo.
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