Nei
Voli separati di Andre Dubus, la sua prima raccolta di
racconti, di fatto un esordio, sono tutti fuori posto, ma in qualche
modo si accertano di avere un margine di manovra, per quanto minimo.
Vorrebbero avere il “cuore leggero”, ma in si scontrano sempre
con un ostacolo imprevisto o si trovano incastrati in “ostinati
cerchi concentrici di delusione e amarezza”, perché “la forza
centrifuga della loro evasione li porta sempre più lontani dal
centro di se stessi”. La definizione geometrica ha un suo senso.
Quando, nel racconto che presta il titolo alla raccolta, uno dei
protagonisti dice che è “meglio giocarsi una vita alla volta che
non tutte e due insieme”, in riferimento (appunto) ai Voli
separati, diventa chiara la connessione, la rete invisibile che
lega i racconti. Non è soltanto perché i protagonisti tendono a
sovrapporsi, fluttuando da una storia all’altra, come Miranda in
Affondando e poi in Miranda sulla valle, o scambiandosi
un tema sensibile come la masturbazione (maschile) in Se
conoscessero Yvonne e quella (femminile) ancora in Voli
separati, ma perché, come dice Andre Dubus, “tutte le storie
iniziano da un dolore personale, autobiografico, che vuoi raccontare,
e poi, mentre lo racconti, la storia, certe azioni, cambiano, e i
personaggi diventano loro stessi e non ti appartengono più. Così
finisci per avere una prospettiva diversa”. L’archetipo è Il
disertore che sintetizza un vasto elenco di tradimenti,
separazioni, fratture, poi delineato in abbondanza nelle storie
successive. In particolare, per Il disertore c’è una
rottura multipla: con la moglie, con la famiglia, con il corpo dei
marines, con l’amante e per finire con se stesso. Nello stesso
modo, la precisione, “come in Faulkner”, di Nella mia vita
decide il registro generale di Voli separati perché,
nonostante la trama drammatica (uno stupro, una condanna a morte), è
la celebrazione del senso di Andre Dubus per le luci. Un’ossessione
che annota con metodo e scrupolo tutte le sfumature dell’alba e del
tramonto che entrano nelle case, tutti i filamenti naturali o
artificiali che filtrano all’inizio o alla fine della notte.
L’occhio di Andre Dubus non vede solo le luci: sa delineare anche
le ombre, le identifica una dopo l’altra, le colloca, le ritaglia.
E’ uno scrittore capace di infondere più dimensioni alla storia
pur tenendo la trama sempre in evidenza, in superficie, davanti a
tutto, senza una divagazione inutile o posticcia. Ci sono lunghi
passaggi, in tutti i racconti di Voli separati, dedicati ai
riflessi, alle varianti e alle angolazioni che, in fondo, sono
soprattutto modi per ricordare che “l’amore è anche tempo”. I
racconti sono lancinanti e nella loro rappresentazione delle “guerre
periferiche” tra mogli, mariti e amanti, Andre Dubus si concede “un
distacco che diventa lussuria”. Nel senso che la sua posizione
ravvicinata, meticolosa, lo porta prima a maneggiare l’intersecarsi
dei rapporti, quasi a scioglierne i nodi inestricabili, poi lo vede
tuffarsi dentro senza risparmiare nulla ai suoi personaggi e di fatto
neanche a se stesso. Le sofferenze sono palesi, scoppiano nelle
pagine, perché la scrittura di Andre Dubus procede a scatti, furiosa
e sincopata come i movimenti dei suoi personaggi. Tutto ciò basta e
avanza, ma poi la progressione matematica culmina in quello che sta
già diventando un romanzo vero e proprio, Non abitiamo più qui.
Un racconto straziante nell’intreccio tra due coppie di coniugi e
amanti, un’equazione che non riesce, un diluvio di alcol e
malinconia invernale. Per inciso, la sequenza dei lavori domestici
all’inizio di Non abitiamo più qui è quasi rap ed è
qualcosa di travolgente, almeno quanto una scena muta, con un gorilla
che fa rimbalzare la tristezza sulla pagina. Il ritmo è costante: un
battito insistente, modulato con cura, ma anche con una spontanea
aderenza agli eventi e alle contorsioni dei suoi protagonisti,
travolti dal desiderio prima e dal rimpianto poi. Dove non arriva la
luce, arriva la musica: Hank Williams (alla radio) e poi soprattutto
i dischi, Dave Brubeck, Gerry Mulligan, Janis Joplin, Paul McCartney,
Crosby, Stills, Nash & Young, Judy Collins, Joan Baez, Simon &
Garfunkel, Beatles, Rolling Stones. In questo Voli separati è
coetaneo e coincide (e non soltanto per la colonna sonora) con le
Gelide scene d’inverno di Ann Beattie, annata di gran
classe, quella del 1975. Con la sublime differenza di Cannonball
Adderley, che doveva essere il protagonista di una serata di Jack,
Terry, Edith, Hank in Non abitiamo più qui. Andre Dubus non
la cita, ma la sua Mercy, Mercy, Mercy resta pur sempre la
miglior dedica possibile, valida per ogni cuore spezzato, e per tutti
i Voli separati.
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