L’espressione
dei personaggi è il cuore delle storie di Jim Harrison e Vento
di passioni, per via della metamorfosi in
film di Leggende d’autunno
(che resta il titolo originale della raccolta, poi modificato per
ovvi motivi), è diventato il suo libro più fortunato, ma resta
anche uno dei più espliciti e rappresentativi nel mostrare
l’aderenza agli sviluppi delle sue creature. Nei racconti Jim
Harrison è proprio uno storyteller nudo e crudo: lascia quel minimo
indispensabile di spazio ai dialoghi (più che altro in Vendetta)
e va a collegare le narrazioni con una voce diretta, come se fosse il
commento a “una sorta di déjà vu permanente”. Una modalità che
non chiede alter ego, intermediari o altri escamotage: Jim Harrison
si limita ad allineare “i fatti puri e semplici, un concetto che
usiamo volentieri quando cerchiamo di sfuggire alle paludi, in cui
più o meno s’invischiano le nostre esistenze” e il lettore, più
che affrontare le pagine, deve ascoltarle. Leggende
d’autunno è un racconto che sfoggia una
delle specialità ricorrenti nei menù di Jim Harrison, la saga
familiare. Nello svolgere l’albero genealogico dei Ludlow, che
occupa più di un secolo, serpeggia l’elemento della vendetta, e
anche se “in fin dei conti la gente non ama farsi troppe domande,
soprattutto quelle spinose che riguardano l’evidente assenza di un
sistema equo di ricompense e di punizioni sulla terra”, per il
protagonista, Tristan è un desiderio sufficiente e rivelatore.
Leggende d’autunno
ha la forma spudorata del soggetto cinematografico, senza un dialogo
che sia uno, eppure in grado avvinghiare il lettore alla pagina, come
l’anaconda comprata da Tristan si è attorcigliata all’albero
maestro della sua nave e a cui hanno dovuto offrire un maialino per
farla scendere, e questo aneddoto è Jim Harrison al cubo. A riprova
che “uno stato di grazia non è mai solo” anche il secondo
capitolo di Vento di passioni
trova uno tra i più memorabili dei suoi personaggi tormentati dal
passato, circondati e definiti dalle rispettive figure femminili,
sempre sul confine tra un cambiamento e l’altro. Una situazione
delicata e volubile perché, come direbbe Nordstrom alias L’uomo
che rinunciò al suo nome, “la cosa più
frustrante per un uomo che desidera cambiare la propria vita è
l’improbabilità stessa del cambiamento”. Nordstrom che, in
un’ideale galleria antologica dei suoi protagonisti, occuperebbe di
sicuro una posizione centrale, balla da solo ascoltando i Dead e Otis
Redding, è “un amante abbastanza esperto da preferire l’atto
alla sua conclusione”, si divide tra la moglie (ormai ex) e la
figlia, affrontando i resti spaventosi del mondo con un aplomb tutto
suo, cucinando, stappando costose bottiglie di vino e pensando,
un’attività non così scontata. A concludere l’ideale trilogia
di Vento di passioni è
Cochran, già pilota di un cacciabombardiere abbattuto nel Laos, che
si trova in Messico “quasi divertito della propria circospezione,
da quella volontà di sopravvivere a qualsiasi cosa fosse in grado di
capire consapevolmente. Al momento non si sentiva nemmeno di
rimpiangere il modo in cui aveva sprecato, una dopo l’altra, le
varie occasioni che la vita gli aveva offerto. I rimpianti lo
annoiavano e la sola energia che gli rimaneva quella notte era
concentrata nello sforzo di capire come tutto ciò fosse potuto
accadere: un’ambizione meccanica, a dir tanto”. Quello che c’è
da sapere è tutto qui e lui, Nordstrom e Tristan sembrano lo stesso
personaggio tradotto e sfumato da Jim Harrison in tre
interpretazioni. Pur essendo molto differenti, i protagonisti di
Vento di passioni si
avvicendano su personalità con una notevole definizione, un
carattere indomabile e nello stesso tempo portato all’introspezione
e in fondo, degni esemplari del fatto che “ognuno desidera una
parte di mistero nella propria vita, ma rari sono coloro che fanno
qualcosa per meritarlo”. Da riscoprire.
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