“Le stagioni cambiano ogni giorno. Qualche volta è primavera, qualche volta è niente. Un poeta può cantare, sì, ci prova, prova sempre” cantava invece lei, Joni Mitchell, in Sisotowell Lane. “Una brava ragazza hippie e rock’n’roll” nella definizione di Barney Hoskins, un po’ riduttiva in realtà, visto che l’incanto di Joni Mitchell è la profondità della sua immersione negli abissi dell’amore. Nessuno ha scritto con la sua sensibilità, con la sua intensità e con la sua ricchezza di immagini l’inarticolato linguaggio del cuore, anche quando le storie d’amore sono destinate a sfaldarsi o a concludersi, anche quando l’amore coincide con la felicità (non sempre) o soltanto quando tutte quelle cose selvagge cominciano a correre veloci. Se in effetti il suo songwriting è, come scrisse una delle sue prime biografe Leonore Fleischer, una composizione che ritrae “la fragile natura del cuore e le complesse strade che prende nella sua ricerca di un altro cuore”, la declinazione non è stata univoca. Joni Mitchell è sempre stata salda e ferma nell’accordarsi alle proprietà di un linguaggio mutevole, preservando tutti i filamenti autobiografici, anche i più intimi e lancinanti, come ammetteva lei stessa: “Il dolore ha molto poco a che fare con l’ambiente. Puoi essere seduto nel più bel posto del mondo e non riuscire a vedere niente per il dolore. Nella mia vita ho affrontato molti miei demoni. Un sacco erano davvero stupidi, ma per me sono estremamente reali. Non mi sento colpevole per il mio successo o per il mio stile di vita”. La traduzione, cercandola dentro una canzone, la si trova in Talk To Me: “La mia mente cattura immagini, guida ancora i miei passi di danza anche se è coperta di piaghe”. Questa connotazione era già chiara a Lester Bangs, che sentiva in Joni Mitchell voce e canzoni “per i dolori occasionali e per le poche estasi della tua situazione privata e circoscritta”. Se la sua intenzione è stata quella di “fare musica abbastanza libera da poterla ballare”, con quell’istintivo senso per il ritmo non è riuscita soltanto a “comporre colonne sonore per i momenti di così tante persone”, come ha scritto Lisa Kennedy, ma ha saputo immaginarne i dettagli e le sfumature, attraverso una visione poliedrica dell’arte di raccontare l’amore, i suoi effetti collaterali e le sue controindicazioni. L’aspetto intimista e riflessivo che ricorre nei suoi temi non deve trarre in inganno, il tono è sempre affilato perché Joni Mitchell è “una donna di cuore e di mente” come si presentava nella sua stessa definizione e ancora nel 1996, pur coerente con un innato spirito libero e ribelle, e senza rimpianti, diceva: “Non sono io che sono diventata pessimista, io sono soltanto un testimone. Los Angeles è al centro del cambiamento. Adesso è una città pericolosa in cui vivere. In California, quando scrivevo le mie prime canzoni, c’era un clima del tutto diverso, la gente guidava in modo educato, la sera non si chiudevano a chiave le porte. Se tu mettevi la freccia a sinistra, la gente diceva: ma prego, vada pure. Adesso è una città dove guidano come pazzi. Se metti la freccia, credono che tu voglia superarli, e nessuno a Los Angeles si fa superare, da nessuno”. L’unica gioia in città resta sempre quel folle grido d’amore nascosto tra le pieghe delle sue canzoni e, fosse anche solo per quello, meriterebbe il Nobel pure lei.
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