Le
tre pièce raccolte in Scene americane valgono
come campionario significativo della drammaturgia di Sam Shepard. Un
lavoro che gli ha fruttato riconoscimenti ed elogi, ma che è
arrivato più per inerzia che per ambizione: “Non voglio fare il
drammaturgo voglio diventare una rock star. Mi sono messo a scrivere
drammi perché non avevo nient’altro da fare”. Si capisce perché
proprio Rock Star,
prima di tutto, un ibrido in cui confluiscono le dinamiche delle
rock’n’roll band e delle gang, sia espressa con ogni riguardo
possibile verso lo stile, il linguaggio, la forma, eppure attraverso
un istinto verbale quasi primordiale. Non è difficile immaginare,
anche grazie alle sottili indicazioni di Sam Shepard, Lou Reed nel
personaggio di Hoss e Keith Richards in quello di Corvo. I dialoghi,
taglienti come un coltello a serramanico, citano Ma Rainey, Blind
Lemon Jefferson, Skip James, Happy Jack,
Heroin, Sister
Morphine e, in effetti, l’atmosfera è la
stessa sporca, grezza e decadente di Sticky
Fingers. Una gang sull’orlo della
dissoluzione che sta rivolgendo contro se stessa tutti gli impulsi
più aggressivi, una rock’n’roll band in preda al diciannovesimo
esaurimento nervoso, a partire dal batterista che è sempre
l’epicentro dei problemi, come spiega Corvo: “Ti verrà. Devi
esercitarti, come un musicista. Non impari tutto in una lezione sola.
Adesso prova la camminata. Muoviti un po’ come un drummer, amico.
Ginger Baker è passato. Prova Danny Richmond, Sonny Murray, Tony
Williams. Uno di quei fighi. un po’ più jazz. Prova con Mongo
Santamaria, quello è uno che ti mette il fuoco al culo”. Nella
narrativa di Sam Shepard non c’è niente di più importante del
fallimento, come direbbe l’amico e collega Bob Dylan, e in Rock
Star è persino una premonizione per Hoss:
“Sono tempi difficili. Una mossa falsa e ti ritrovi indietro di un
anno o più. Non te lo puoi permettere. I grafici si muovono troppo
in fretta. Ogni settimana c’è una nuova stella. E tu non vuoi
essere un coglione qualunque. Tu vuoi qualcosa di solido, qualcosa
che duri”. Il destino è segnato, e non è facile, la vita della
Rock Star, come spiega
Corvo a Hoss: “Così tu vuoi essere un rocker. Studia le mosse.
Jerry Lee Lewis. Comprati delle scarpe di camoscio blu. Muovi la
testa come Rod Stewart. Dai via il culo. Fagli male, raddrizza la tua
immagine. Raddrizza la tua immagine, ragazzo. La rima di fantasia. E’
dappertutto e non puoi comprare il tempo. Non puoi comprare il bebop.
Non puoi comprare niente. Sei giù di fantasia e non hai un posto
dove nasconderti”. Le possibilità non sono infinite e Sam Shepard
è concentrato su quel punto di non ritorno, quando la sconfitta, il
disastro, il nulla, è più di un’opzione. Il confine è
invisibile, l’alternativa resta il movimento, il rosario di motel e
stazioni di servizio, di rottami e rovine: le Scene
americane sono terre desolate, e qualcuno che
resta al volante perché non sa più dove andare. L’ammissione è
più che esplicita in Il bambino sepolto:
“Guidavo tutta la giornata certe volte. Nel deserto. Lontano
lontano nel deserto. Guidavo oltrepassando città. Dappertutto.
Oltrepassando palme. Lampi. Qualsiasi cosa. Guidavo e passavo oltre.
Guidavo oltrepassando tutto e mi fermavo e mi guardavo in giro e
riprendevo a guidare. Vorrei ancora guidare! Mi piaceva guidare. Non
c’era niente che mi piacesse di più. Niente di quel che sognavo
era meglio che guidare”. Il deserto, dove le strade svaniscono, non
è soltanto la metafora del disorientamento: per Sam Shepard è lo
specchio della solitudine, e della fatica di essere ed essere lì in
quel posto, anche solo di comprenderne il perché. E’ il tema che
diventerà di Paris, Texas
ed è anche l’ammissione di un modo di sceneggiare, drastico e
risoluto, spiegato dalle parole di Lee, il protagonista di Vero
West: “Tu mi scrivi questa sceneggiatura
così come te la dico io. Cioè, puoi usare tutti i tuoi trucchi e la
roba che sai. Il tuo bel linguaggio, il tuo abracadabra artistico. Ma
devi descrivere tutto come te lo dico io. Ogni mossa. Tutte le volte
che finiscono la benzina, finiscono la benzina. Tutte le volte che
vogliono saltare sul cavallo, ci saltano. Se vogliono restare in
Texas, ci restano”. Non bastasse, aggiunge, a scanso di equivoci:
“Qui noi facciamo il cinema, il cinema americano. I film li
lasciamo fare ai francesi”. Anche se è solo una battuta teatrale,
la differenza è tutta lì.
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