Per
Natale, Buddy deve partire dall’Alabama per raggiungere suo padre a
New Orleans. La madre è altrove, l’ultima destinazione era New
York, e si lascia alle spalle l’amicizia con Miss Sook Faulk, a cui
Truman Capote dedicherà tra l’altro L’arpa d’erba. Il
racconto di Un Natale attraversa e incrocia l’incanto e
l’amarezza con il ritmo tambureggiante di quattro quarti sincopati
che si susseguono e si incastrano alla perfezione con tutte le
coordinate del classico, lirico e immediato nello stesso tempo,
limpido, preciso e tagliente nel tracciare il segmento percorso da
Buddy, che non è soltanto la distanza che lo separa da Miss Sook
Faulk. Anche se è evidente che la differenza geografica è una
ferita lancinante: “Era una vera tortura farsi trascinare qua e là
per le strade di New Orleans con quelle scarpe con i lacci stretti,
calde come l’inferno, pesanti come il piombo. Non so dire cosa
fosse peggio, se le scarpe o il cibo. A casa ero abituato al pollo
fritto e ai cavoli ricci e ai fagioli americani e al pane di meliga e
ad altre cose buone. Ma i ristoranti di New Orleans! Non dimenticherò
mai la mia prima ostrica, fu come se mi scivolasse in gola un brutto
sogno”. Quello che Buddy apprezza è soltanto il modello di un
aeroplano visto in un negozio su Canal Street, ma Babbo Natale non
lo può sapere. Nella festa della vigilia dove si sviluppa il secondo
quarto, la distanza con i riti degli adulti, il padre per primo,
diventa incolmabile perché Buddy pensa di scoprire la verità: non
esiste Babbo Natale, anche se la mattina aprirà i suoi regali,
preludio alla straziante scena della partenza per tornare in Alabama.
Come ha cominciato il racconto Miss Sook Faulk riappare nel finale, a
concludere spiegando un’altra verità a Buddy, o almeno la sua
versione, così, come un’ultima postilla. Un Natale, che
risale all’epoca di Colazione da Tiffany, è una svolta
anche nella scrittura di Truman Capote alla chiusura di un ciclo
fondamentale nella formazione del suo stile, come scriveva nella
prefazione di Musica per camaleonti: “Durante quei dieci
anni sperimentai quasi ogni forma di scrittura, sforzandomi di
acquisire tecniche diverse, di raggiungere un virtuosismo tecnico
resistente e flessibile come la rete di un pescatore. Naturalmente
fallii in molti dei campi invasi, ma è vero che si apprende più da
un fallimento che da un successo”. Miss Sook Faulk torna anche per
Il giorno del ringraziamento e per quanto di formazione
eterogenea, i racconti gravitano attorno alla twilight zone
dell’adolescenza, come poi in diventa evidente in Il mio punto
di vista. Lo stupore resta anche negli altri casi, che coltivano
la terra di nessuno tra realtà e finzione perché, come scrive in
Padron Miseria, “i sogni, per la maggior parte, cominciano
perché ci sono delle furie dentro di noi, furie che picchiano perché
vengano aperte le porte”. O, a maggior ragione in Il falco senza
testa: “Vi sono lavori d’arte che destano interesse più per
i loro autori che per il loro stesso significato, di solito perché
in opere di questo genere si riesce a identificare qualcosa che fino
a quel momento sembrava una sensazione personale, inesprimibile, e ci
si chiede, chi è costui che ci conosce, e come fa?”, e questa
resta la domanda principale, forse l’unica, davanti a un grande
scrittore.
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