Vuoi
star zitta, per favore? è lo spartiacque imprescindibile nella
vita e nella carriera di Raymond Carver. E’ la prima antologia di
racconti curata da Gordon Lish che ne selezionerà e ne rielaborerà
ventidue, pescandoli da una quarantina tra quelli fin lì scritti e
proposti da Carver. E’ il 1976 e nel risvolto originale di Vuoi
star zitta per favore?, si legge, tra l’altro: “La volgarità
dei nostri destini segnati ascende a una sorta di trionfo, una
piccola ma sontuosa vittoria sulle circostanze”. In quel momento le
contingenze per Carver sono davvero precarie tra bancarotte, alcol e
ancora alcol, famiglia e disastri assortiti. James Crumley che
trasformerà Raymond e Maryann Carver in altrettanti personaggi in
L’ultimo vero bacio lo ricordava così: “Ecco delle
persone con una capacità di degradazione che non avevo mai
incontrato, e sì che ho fatto una vita abbastanza dura, squattrinata
e criminale. Volevo bene a Ray (Carver), ma era un uomo completamente
privo di difese. Del tutto incapace di prendersi cura di sé”. La
luce spettrale che circonda i protagonisti di Vuoi star zitta, per
favore?, che sia stata frutto del bisturi di Gordon Lish o
dell’intuizione di Raymond Carver (il dilemma ormai è relativo) ha
l’urgenza, l’immediatezza, anche una scarna concretezza e se è
vero (come è vero) che i successivi racconti di Carver sono
diventati di volta in volta più accurati e lirici, qui c’è il
modello iniziale, la scossa primordiale, la scintilla. Di sicuro il
meticoloso lavoro di Gordon Lish ha riorganizzato, distribuito e
uniformato i riferimenti autobiografici: c’è sempre stata una
parte non irrilevante dell’esperienza personale di Carver nei suoi
racconti, ma Vuoi star zitta, per favore? attinge e rimanda a
quel particolare periodo di transizione. Un momento in cui i Segnali
sono inequivocabili, i Creditori bussano alla porta (e
nelle aule dei tribunali), L’idea (quale che fosse) si stava
sgretolando e i dialoghi si perdevano tra quelle due domande, Perché,
tesoro mio? e Vuoi star zitta, per favore?, appunto. Il
tenore è identificato dal protagonista di Sessanta acri, che
“aveva la sensazione che fosse accaduto qualcosa di cruciale, la
sensazione di aver fallito”. E’ quell’ombra, lo spettro della
sconfitta, ad annodare insieme le short stories di Raymond Carver ed
è così che lo leggeva anche Leonard Gardner, l’autore di Città
amara: “Parliamo del tradimento degli affetti più cari, per
debolezza o egoismo, o per altro ancora. Gente che non si prende a
botte, ma compie questi tradimenti silenziosi che causano un dolore
atroce”. Del resto, quando Vuoi star zitta, per favore?, Carver
si stupì di come i suoi personaggi vennero considerati, come se
avesse aperto una porta su una realtà sconosciuta ai più, ma che
lui conosceva bene: “Questo paese è pieno di gente così. E’
brava gente. Gente che cerca di fare dal proprio meglio”. Il dubbio
che non ci arrivi, che ci sia sempre l’imprevedibile avversità
dietro l’angolo, che l’attrazione verso la Wrong Side Of The
Road, per dirla con Tom Waits, risulti fatale, è l’elemento
elettrico, magnetico che lascia stupiti ogni volta. Anche quando è
nascosto o mimetizzato perché come scriveva Raymond Carver:
“Mi piace quando nei racconti c’è un senso di minaccia. Credo
che un po’ di minaccia sia una cosa che in un racconto ci sta bene.
Tanto per cominciare, fa bene alla circolazione. Ci deve essere della
tensione, il senso che qualcosa sta per accadere, che certe cose si
sono messe in moto e non si possono fermare, altrimenti, il più
delle volte, la storia semplicemente non ci sarà. Quello che crea
tensione in un racconto è, in parte, il modo in cui le parole
vengono concretamente collegate per formare l’azione visibile della
storia. Ma creano tensione anche le cose vengono lasciate fuori, che
sono implicite, il paesaggio che è appena sotto la tranquilla (ma a
volte rotta e agitata) superficie del racconto”. Inesorabile.
Nessun commento:
Posta un commento