Uno
degli aspetti più affascinanti di Alice Munro è l'intimità del suo
rapporto con la scrittura, definita a più riprese come qualcosa di
irrinunciabile, spontaneo, necessario e naturale,
“come respirare”. Nello stesso tempo, la gestione è complessa e
articolata per sua stessa ammissione: “Mi sembra di riuscire ad
afferrare quello di cui devo scrivere con grandissima difficoltà”.
Nei racconti di In fuga
questa sensazione è palpabile e si nota nella loro meticolosa
elaborazione. Alice Munro, qui ormai con un'esperienza consolidata e
riconosciuta, sa che l'incipit è (sempre) fondamentale e nelle short
stories, visti gli stretti margini di manovra, vale l'intera posta in
gioco. Tutti gli inizi di In fuga potrebbero
essere adottati come esempi in qualsiasi corso di scrittura creativa,
a partire dalle prime, fenomenali sei righe di Fatalità:
“Nel 1965 il semestre a Torrance House si conclude a metà giugno.
Juliet non ha ricevuto l'offerta di un impiego stabile, l'insegnante
che ha sostituito si è rimessa in salute, perciò ora potrebbe
riprendere la via di casa. Ma ha deciso di concedersi quella che ha
definito una breve deviazione. Una breve deviazione per far visita a
un amico che abita su al nord, lungo la costa”. Lo stesso si
potrebbe dire del passo iniziale di Passione:
un altro lungo e brillante incipit che sembra ricollegarsi come un
circuito chiuso al finale dove la protagonista parla di “avviare
una vita”. Qualcosa comincia proprio dove Passione
finisce lasciando al lettore la facoltà di fantasticare un seguito,
o tornare al via. Quello che Alice Munro non concede
all'immaginazione è l'ambiente e il paesaggio: in Passione,
come in Poteri, come
ovunque nei suoi racconti, la descrizione dello scenario naturale
naturale, così assidua, appassionata, florida, scorre parallela e
costante ai temi, agli incontri e alle partenze degli uomini e
(soprattutto) delle donne e contribuisce in modo determinante a
creare l'atmosfera, il tono, lo stile. Quando poi ci si addentra
nelle storie, serve molta attenzione, se non proprio la capacità di
immedesimarsi nei personaggi, perché Alice Munro è capace di
cambiare prospettiva nel giro di poche frasi, passando da forme
introspettive (come succede in Scherzi del destino:
“I ricordi, attraverso il ricamo della memoria, non facevano che
scavare solchi più profondi. E' importante che ci siamo
incontrati. Sì. Sì”) a
divagazioni in cui affiorano i Beatles, Colazione da
Tiffany e Johnny Mercer o “una
specie di jazz” (non meglio identificata, ancora in Scherzi
del destino), anche se la vera,
continua citazione è Shakespeare e le fonti di ispirazioni rimangono
Eudora Welty, Flannery O'Connor, Katherine Ann Porter, Carson
McCullers perché è leggendole che ha scoperto“che le donne
potevano scrivere di cose particolari, di ciò che è marginale”.
Resta da dire che il trittico composto da In fuga,
Fatalità e Silenzio è
il maggior sforzo di Alice Munro per avvicinarsi al romanzo, visto
che la protagonista è sempre la stessa Juliet, ma poi
è come se attraverso le parole dei suoi personaggi prendesse forma
un'altra visione: “Cambia la
percezione di ciò che è possibile, di ciò che è successo, non
solo di quello che può succedere ma di quello che è successo. La
mia vita è piena di realtà sconnesse e le vedo nella vita degli
altri. E' stato uno dei problemi, del perché non sono riuscita a
scrivere romanzi, non sono mai riuscita ad avere una visione
complessiva nel loro insieme”. Nobile ammissione, i racconti
bastano e avanzano.
Nessun commento:
Posta un commento