Quando
il vecchio prende il mare in cerca più di fortuna che di pesca “era
troppo semplice per chiedersi quando avesse raggiunto l'umiltà. Ma
sapeva di averla raggiunta e sapeva che questo non era indecoroso e
non comportava la perdita del vero orgoglio”. Il vecchio e il
mare comincia proprio da lì, da quella profonda reciprocità con
il suo protagonista e poi, scolpito frase per frase, detta i
movimenti degli esseri umani e animali con onde regolari di
linguaggio, quasi un battito cardiaco che sottolinea la storia, più
che raccontarla. Il romanzo in sé rimane straordinario per la luce
che Hemingway ha saputo cogliere, risparmiando le parole e
moltiplicando gli sforzi per farci sentire lì, sulla barca di
Santiago, indifesi e ostinati in mezzo al mare. L'odissea di Santiago
è tutto: è metaforica, è simbolica, e nella sua essenzialità, è
l'espressione della lotta per la sopravvivenza e insieme per la
convivenza con “la bandiera di una sconfitta perenne”, dove la
distinzione tra preda e predatore è invisibile. Nel tripudio di
elementi naturali, dal sole al vento ai celenterati compresi in tutta
la biologia marina, che conoscono soltanto la vita e la morte,
l'inizio e la fine, Hemingway innesta l'elemento più umano, il
fallimento, ovvero “che cosa sa fare un uomo e che cosa sopporta un
uomo”. Come Santiago cerca la posizione e la direzione nella sua
barca in mezzo all'oceano, Hemingway si orienta passo dopo passo e
con Il vecchio e il mare trova e inquadra con sublime
precisione nei dettagli, nell'atmosfera, nelle sensazioni trasmesse
dalla sua scrittura quell'empatia per i personaggi che è la stessa
per un concreto residuo di dignità. William Faulkner lo articolò in
modo più elaborato nella sua recensione: “Finora i suoi uomini e
donne si erano fatti, si erano formati con la stessa argilla; le loro
vittorie e sconfitte erano nelle loro mani, soltanto per provare a se
stessi fino a che punto potevano essere duri. Ma questa volta ha
scritto sulla pietà: su qualcosa che da qualche parte li ha creati
tutti, il vecchio che doveva catturare il pesce e poi perderlo, il
pesce che doveva essere catturato e poi perduto, i pescecani che
dovevano derubare il vecchio del suo pesce; li ha creati tutti e li
ha amati e ha avuto pietà per tutti”. Non è solo il confronto tra
Il vecchio e il mare. E' tutta una percezione della frugalità
della vita, del tessuto di cicatrici che distingue la pelle, il volto
di Santiago, dei giorni calcolati in funzione della fortuna (o,
meglio, della sua assenza), persino un certo fatalismo di fronte
all'insondabile voracità dei pescecani. L'abilità di Hemingway sta
nello schierarci tutti stiamo dalla parte di Santiago mentre Santiago
si identifica con il mare, con il pesce, con un cielo pieno di
stelle, che per fortuna non dobbiamo cacciare. Un suo giovane
ammiratore, Mark Sullivan, non senza una certa simpatia, l'ha
definito “il prodotto di un geniaccio”, e la pratica definizione
rende il merito a un narratore che con Il vecchio e il mare ha
avuto il coraggio di scrivere come “il dolore non deve avere
importanza per un uomo”. Non sono in molti, ad averlo detto.
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