Frutto
di un'interessante estrapolazione dall'autobiografia di Theodore
Dreiser (che merita di essere riletta per intero), Meravigliosa
Chicago è composto da tre diversi momenti a cavallo della fine
del diciannovesimo secolo. L'assemblaggio ha tutta una sua
accuratezza perché asseconda la radicale trasformazione della città
e la relativa percezione. Nella fase iniziale, quella di Ho visto
nascere la meravigliosa Chicago, Theodore Dreiser è travolto da
una “strana illusione di speranze e felicità” che coincide con
l'evoluzione urbana. All'inizio Chicago, “una città nuova e
grande, totalmente elettrizzante e che traboccava di opportunità”,
è una scoperta piena di meraviglie, l'incarnazione stessa di terre
promesse e ambizioni e miraggi che l'acerbo Theodore Dreiser si
ritrova incantato ad ammirare dalla sua finestra sul nuovo mondo:
“Affascinato, restavo per ore a guardare il teatro dall'altra parte
della vita, il parco nella strada vicina oppure, sporgendomi da una
delle nostre finestre, il panorama dietro la nostra casa. Tutto era
così diverso da quanto avessi mai visto o conosciuto in precedenza”.
Theodore Dreiser scopre in Chicago “una combinazione di speranza e
gioia di vivere, intensa speranza e intensa gioia. Le città, come
gli individui, possono essere illuminate dalla grande luce della
speranza. Possiedono quel miracolo, quel carattere, che come succede
per le persone, è sempre così affascinante da lasciare a bocca
aperta”. La consapevolezza che la vita cittadina influenzi e
determini quella degli uomini, è maturata attraverso le vicende
famigliari prima, tra tutte, la figura tormentata del padre, al punto
che Theodore Dreiser già intuisce che “la città della quale ora
sto per scrivere, non è mai esistita su terra o mare; se ogni tanto
potrà sembrare avere i contorni della realtà, non saranno altro che
le ombre proiettate da una gloria che allora era tutta nella mia
testa”. Quando verrà il momento del Ritorno a Chicago, la
città è già trasformata. Theodore Dreiser è convinto di cantare
“un paese nuovo, una vita nuova” mentre la città si è già
deformata in una metropoli. Anni dopo, Sherwood Anderson scriverà
nei Canti del Mid-America: “Siamo qui, qui fuori a Chicago.
Pensi che non siamo umili? Sei un bugiardo. Siamo come la fognatura
della nostra città, spazzati a monte della corrente con un certo
trionfo meccanico, questo è ciò che siamo”. Theodore Dreiser lo
comprende già nell'ultima parte, Lavorando come venditore
ambulante a Chicago, dove delinea senza esitazioni il lato oscuro
della città: “Credo davvero che il peggio dei bassifondi del mondo
fosse lì. Inoltre, la città era stata in origine costruita in modo
talmente sommario che le vaste aree occupate da logore case di legno
erano già, dopo soli pochi anni, cadute nella più completa rovina”.
La conclusione di Meravigliosa Chicago, per quanto
moraleggiante, è l'amara constatazione che “la vita è un gioco di
chi mangia per primo e, quando non vi sia una forza che le si opponga
dall'interno, appare guidata da un proposito di rendere il mondo una
specie di giungla”. La metafora tropicale non è un caso: sarebbe
poi diventata il titolo del grande romanzo di Upton Sinclair,
testimonianza ineludibile di una Chicago che ormai non era più così
meravigliosa.
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