Sotto una buona stella è un romanzo pervaso da una specie di schizofrenia,
che non lo molla fino alla fine. E’ l’incomunicabilità, un tema ricorrente con
Richard Yates, ma che in Sotto una buona stella sembra pesare sulla trama. E’ quella che assilla Alice Prentice, artista
frustrata che passa da un appartamento all’altro, da una casa all’altra,
attraverso indefiniti love affair, destinati a conclusioni non decorose. E’ la
stessa incapacità di comprendersi che divide Alice e suo figlio, Bobby, vittima
di troppi traslochi e di troppi sconosciuti piombati nella sua vita senza
preavviso. Infine, è la solitudine di Bobby sul teatro europeo, verso la fine
della seconda guerra mondiale. I grugniti dei commilitoni, lo svolgersi
repentino, confuso e feroce dei combattimenti, e nell’insieme, l’inutilità del
tentativo di regolare i conti con se stesso, con il passato, con l’ossessione
della madre finiscono in niente. Ci sono due libri in Sotto una buona
stella e la convivenza non è sempre
coerente, proprio come quella tra Alice e Bobby. La Suburban War come recita a proposito la canzone degli Arcade Fire
di The Suburbs, vede protagonista
la madre, con e senza figlio, e lì Richard Yates si ritrova nel suo milieu. Le
strade cambiano i contorni delle città, aprendo nuovi fronti e inediti confini
attorno ai quartieri e alimentano quell’atmosfera di alienazione in cui “i treni elettrici portavano via gli
uomini verso la città ogni mattina e i bambini erano inghiottiti dalla scuola.
Le donne, sole nelle loro grandi case impeccabili, lasciavano trascorrere le
giornate in una serie infinita di banalità”. La guerra sulla frontiera tra
Francia e Germania è differente, va da sé, ma il senso di disorientamento è
sempre lo stesso, visto che Bobby la percepisce così: “E continuarono ad
avanzare faticosamente su per le strade del paese, ripide e con le bandiere
bianche appese alle finestre, guardando avanti verso il punto in cui sorgeva la
collina nuda e bruna nel sole pomeridiano. Niente sembrava reale”. L’effetto
straniante deve avere coinvolto anche Richard Yates: nelle sue cronache dalle
trincee europee, in un passaggio confonde la FlaK, ovvero la contraerea
tedesca, con la corrispettiva americana. Il lapsus è relativo e rivelatorio
insieme, visto che introduce, poche pagine dopo, un lacerante episodio di fuoco
amico. Il dettaglio, sfuggente, lascia la sensazione che Sotto una
buona stella ondeggi in cerca di un
equilibrio dentro un conflitto irrimediabile. Le circostanze sono contorte e la
migliore interpretazione è ancora quella di Richard Yates: “A volte nei sogni
appaiono visioni del passato. Per questo motivo Alice Prentice aveva sempre
accolto il sonno con piacere, ma da insonne aveva il terrore dei momenti che
precedevano il sonno, l’atto stesso di addormentarsi, il rischioso crepuscolo
di semicoscienza in cui la mente fa fatica a mantenere la coerenza, quando una
sirena o un grido giù in strada è il suono vero e proprio del terrore e il
ticchettio dell’orologio è un costante promemoria della morte”. Ci si arriva
per gradi, arrancando tra un saliente e l’altro, senza soluzione, se non un
malinconico finale scritto su una cartolina.
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