Ironia,
arguzia, linguaggio sintetico e nello stesso tempo tagliente, visioni e
immagini immediate, precise, spesso crudeli. Attore teatrale, interprete di
diversi film (tra cui Urla del silenzio e True Stories),
scrittore (persino un romanzo, nel curriculum) Spalding Gray era conosciuto
soprattutto per i suoi show solitari. Gran parte dei suoi monologhi, deliri che
sembrano un perfetto incrocio tra la vena caustica di Lenny Bruce e
l’introspezione surreale di Woody Allen, hanno trovato posto in Sesso e morte
fino a 14 anni e il personaggio è di
quelli che meritano attenzione perchè capace di battute al vetriolo (“Ora, chi
sono i santi nel mondo occidentale? Attori e attrici. Sono gli unici che
possono dire di non sapere chi sono senza che li chiudano in manicomio”) e di
creare una storia tutto intorno “dove si distinguono ancora compassione,
dubbio, invidia, affetto fraterno, ambivalenza, tutte le sfumature del discorso
umano”. Come faccia a tenere insieme tutto lo si vede in A nuoto in Cambogia: resoconto trasversale della sua partecipazione a Urla
del silenzio, dal casuale, o quasi,
ingaggio al set nella giungla fino alla conclusione del film. Spalding Gray ha
occasione di sproloquiare un po’ su tutto ma i temi centrali rimangono la
guerra e il mondo dell'informazione o, meglio, Hollywood. Due realtà nemmeno
tanto distanti tra loro, che Spalding Gray sposa così: “Guerroterapia. Tutti i
paesi dovrebbero fare un grosso film di guerra all’anno. Darebbe lavoro a un
sacco di gente, li aiuterebbe a godere. E quando atterri in quella giungla,
altro che immedesimarti! Quando le pale dell’elicottero ti fischiano sulla
testa, urli per farti sentire”. Le immagini di Urla del silenzio si susseguono, i set vengono montati, smontati,
rimontati e aragosta fresca attraversa tutti i giorni un intero emisfero (dal
Maine all’Indocina) per essere servita alla troupe, insieme a marijuana e
alcol. E’ un clima da festa mobile, ma nell’aria si respira il dramma della
Cambogia, come intuisce James Leverett nell’introduzione: “Un piccolo paese di
gente amabile, paradiso innocente, spinto alla frenesia del genocidio da Mao,
Rosseau e i B-52. Ma bastano sangue finto e interiora di pollo a rendere
accettabili quei cittadini trucidati o comparse che siano? Villaggi in fiamme o
pneumatici in fiamme disposti dai tecnici per gli effetti speciali? Siamo nella
storia o sul set?”. Spalding Gray non risponde alla domanda, perché è troppo
intelligente per lasciarsi ingannare: la sua raffinata ironia comincia già
nelle prime pagine quando dice che “il prodotto finito è il risultato di una
serie di errori organici, creativi, la percezione stessa funge da editor della
redazione definitiva”. In A nuoto in Cambogia dissemina piuttosto tante possibili soluzioni, a
partire da una riconversione del linguaggio e, in via del tutto particolare,
dell’umorismo. E, ricostruendo quello che lui chiama un “film interiore”,
Spalding Gray mette in scena un’umanità varia e confusa e una parodia di quella
società che non riesce più a distinguere la realtà dal gioco perverso delle
illusioni sceniche.
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