Gli amici degli animali si contendono la difesa dei fragili ecosistemi delle
Channels Islands, al largo della California. Dave LaJoy è un attivista
antipatico e insopportabile, ma è nel giusto perché si fa guidare da un solo
comandamento: non uccidere. Alma è politically correct, ma nei suoi interventi
di conservazione e/o ripristino c’è l’ambiguità della supponenza di poter
decidere il destino degli eventi naturali con strumenti artificiali, se non
proprio artificiosi. Il contrasto emotivo tra i protagonisti pare una
semplificazione, ma l’ordine delle cose non è così: c’è molta della condizione
isterica del nostro mondo che Gli amici degli animali interpretano, come se i tentativi, opposti e
speculari, con cui cercano di ripristinare il caos appartengano più ad
una dimensione empirica che scientifica, amplificata dalla particolare cornice
insulare e marina. Come scriveva Judith Schalansky nel bellissimo Atlante
delle isole remote: “L’isola appare un mondo sé
stante, ancora allo stato naturale originario, come il paradiso prima del
peccato originale, impudico ma innocente”. L’introduzione naturale o
artificiale (quale che essa sia) di una specie, implica il rischio,
l’eventualità, più che probabile, di una trasformazione repentina della vita,
di un ribaltamento della catena alimentare. E’ la storia (vera) del boiga
irregularis, che introduce il tema corrente tra Gli amici degli animali: è una bella creatura di tre metri che, arrivata in
modo fortuito sull’isola di Guam, si è moltiplicata per tre milioni e mezzo di
esemplari, trasformando l’isola in un nido di serpenti. Il dilemma della
sovrappopolazione e della convivenza (e della sopravvivenz)a di forme di vita
diverse sullo stesso, limitato pianeta è il nocciolo degli scontri che Gli
amici degli animali sovrappongono a battaglie di ego
insaziabili. E’ una storia dei nostri giorni, una storia paradossale, volendo,
che racconta i pericolosi malintesi che si accumulano nel convulso rapporto tra
l’uomo e la natura (o il suo consumo). L’idea al centro del corto circuito, che
il genere umano possa decidere di vita o morte su tutti, si rivela in modo
diverso e drammatico sia ad Alma che a Dave LaJoy e T. C. Boyle è molto lucido
nel far capire che, in realtà, l’unico deus ex machina è il caso. Gli amici
degli animali è avvincente nel ritmo,
essenziale nella scrittura, molto pertinente e urgente nel rivelare le
contorsioni del genere umano di fronte ai processi naturali, come se T. C.
Boyle avesse letto La natura delle cose nel De Rerum Natura di Tito
Lucrezio Caro: “Vediamo che la natura, nel dissolvere i corpi, libera i vari
elementi ma non li distrugge: se no tutto potrebbe cessare all’istante di
esistere se contenesse in se stesso qualche elemento mortale non occorrendo che
giunga una forza a dividere le parti di cui si compone e a disfarne la trama”.
Come diceva T. C. Boyle in un’intervista: “Io penso che tra 50 anni andrà a
finire come raccontava Cormac McCarthy con La strada. Noi mangeremo tutto e quando non ci sarà più nulla,
ci mangeremo l’un l’altro. Ma il mio piano, personalmente, è morire. Questo è
come affronto la questione”. Non è l’unico omaggio a un grande scrittore che
riserva T. C. Boyle: Gli amici degli animali cela anche un tributo per La fiera dei serpenti di Harry Crews utile a comprenderne il finale, beffardo
e perfetto.
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