Senza
ombra di dubbio, Raymond Carver meritava una biografia della dimensione di
quella curata da Carol Sklenicka, che ha dedicato dieci anni ha setacciare
voci, atti, ricordi per riorganizzarli in Una vita da scrittore. Un lavoro degno di “un poeta dell’inclusione,
della vastità”, così come l’ha definito Salman Rushdie: Carol Sklenicka parte
da lontano e dal cuore della storia di Raymond Carver, dalla sua famiglia, che
somiglia a quella di tanti personaggi di Woody Guthrie o John Steinbeck, sempre
in viaggio attraverso l’America in cerca di un lavoro e un’esistenza migliore.
Sono le radici blue collar che gli procureranno la definizione di “cronista
della disperazione proletaria”, quando si ritroveranno, parola per parola, nei
suoi racconti. Ci vorranno ben due vite e Carol Sklenicka coglie bene i volti
di Raymond Carver che ha vissuto una volta nell’alcol e un’altra per le storie.
La distinzione non è così nitida, anche se Carver scrive metà dei suoi racconti
prima del 1977 e l’altra metà dopo intrecciando fiction e realtà. Scriveva in Creditori: “Ogni giorno, ogni notte della nostra
vita, ci lasciamo dietro pezzettini di noi stessi, scaglie di questo o di
quello”. Nello stesso modo diceva in un’intervista, ormai sobrio: “Mi sono
lasciato dietro una quantità terribile di macerie, desolazione e rovina”. Carol
Sklenicka rende chiaro quel un processo di osmosi per cui tutti i risvolti
autobiografici sono confluiti tutte nei suoi personaggi e lo chiama
“miniaturizzazione di emozioni”. Una scrittura che Richard Ford ha definito
“così distillata, così intensa, così scelta, così struggente nella sua urgenza”
e che John Gardner ha riassunto
nel termine “inesorabile”. Molto è dovuto agli interventi chirurgici di Gordon
Lish, l’ineffabile editor che ha ridotto le short stories di Raymond Carver al
midollo a cui Carol Sklenicka dedica il giusto spazio, anche se poi emergono
anche la predilizione per Anton Cechov, l’amicizia con Chuck Kinder e Tobias
Wolff, il legame con John Cheever, gli incontri con Richard Yates, Charles
Bukowski e James Crumley. L’aspetto stupefacente della biografia di Raymond
Carver è la sua misurata distanza dagli avvenimenti storici, sociali e
politici, come se fosse coinvolto soltanto dalle sue vite e da quelle dei suoi
personaggi. Un profilo notato anche da William Kittredge che diceva: “La mia
impressione è che fosse di gran lunga troppo intelligente e sensibile”.
Difficile aggiungere qualcosa in più a quello che ha detto Stephen King:
“Eccellente, meticolosa, palpitante. La biografia di Carol Sklenicka è
un’inestimabile ricostruzione dell’evoluzione di Carver come scrittore, e del
difficile e controverso rapporto con il suo editor”. Il commiato, nelle pieghe
di Una vita da scrittore,
tocca invece a Chuck Kinder che, nella sua apologia dell’outsider, dirà: “Ci
sarà sempre qualche raro individuo a cui tocca di guardare nell’abisso per
permettere a tutti noi di vedere davvero”. E’ il primo e ultimo compito dello
scrittore, e Raymond Carver l’ha interpretato così: “Devi sopravvivere, trovare
un po’ di pace e lavorare duro tutti i giorni”. Non c’è molto altro.
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