Il quadro generale dei rapporti
umani che emerge Nel libro della vita
non è molto edificante. Le coordinate che saldano un racconto all’altro sono
quelle quelle di una borghesia sull’orlo del fallimento, che ricorda molto la
decadenza del citatissimo Francis Scott Fitzgerald e la rappresentazione di Stuart Nadler è impietosa, per
quanto mitigata da un’ironia sottile e pungente. Un umorismo che ricorda il
miglior Woody Allen, più di quello dei narratori ebrei a cui attinge Stuart
Nadler (Saul Bellow su tutti), compreso il protagonista di Il nostro
destino, la nostra roccia quando dice
che essere ebrei, “non è una taglia unica che va bene per tutti”. La cifra è
chiarissima fin dal primo racconto della raccolta. Nel libro della vita è una spirale di sotterfugi e di ricatti perché un
adulterio ne rivela un altro in un gioco a incastri cinico nella sostanza
eppure formale nell’apparenza. L’arte del mimetismo psicologico attraversa
tutti i racconti, serve per il tradimento o per (salvare) il matrimonio, lo
usano i figli per sopportare i genitori e gli adulti, uomini e donne, quando
ricordano di averne appreso i rudimenti nelle rispettive infanzie. E’, più di
tutto, una forma di autodifesa dalla vita, dall’alcol, dalla noia, dalle
abitudini coltivate troppo a lungo, dalle comunicazioni interrotte o lasciate
in sospeso. Come la protagonista di Lo sbarco sulla luna, un racconto bellissimo, che chiede: “Vuoi che ti
dica che ti amo? Ti farebbe sentire meglio?”, ed è inutile dire che non c’è
seguito perché “quelle parole piacciono a tutti” e sono in pochi a pronunciarle
tra l’intrigo di Catherine e Henry e
la dolorosa visione di La visita.
E’ il vuoto tra una metà e l’altra perché i personaggi sono tutti associati in
coppie, un sistema binario fatto di parallele divergenti, in tutte le versioni:
marito e moglie, amante e amante, padre e figlio, fratello e fratello, amica e
amica. Legami destinati a implodere fino a Oltre ogni benedizione che già lambisce una forma che va oltre il racconto.
Fin lì, Stuart Nadler riesce a mantenersi lineare quanto basta, mostrando
tormenti e fatiche delle storie d’amore e/o delle relative visissitudini
famigliari. L’ossessione ricorrente per l’ambito domestico, l’altro tratto
costante e comune a tutti i racconti di Nel libro della vita, è sentito attraverso diverse tonalità perché sembra
di capire che all’interno della famiglia certe maschere psicologiche non
reggono e anzi tendono a rivelarsi come riflessi, fin troppo sinceri. Stuart
Nadler insegue con convinzione “una debole traccia di lealtà”, facendo lo
slalom tra “una serie di silenzi punteggiati da preghiere, canzoni e risate”.
Mantiene quel tanto di distacco da vedere con chiarezza le metamorfosi dei suoi
personaggi e abbastanza partecipazione da risultare coinvolgente, almeno per
quanto riguarda i primi racconti della raccolta. Più ci si inoltra Nel libro
della vita e più è chiaro che con queste
premesse la dimensione della short story gli risulta limitata, come poi si è
visto nell’evoluzione di La
fortuna dei Wise, il primo (notevole) romanzo di
Stuart Nadler.
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