Il
giorno dei colombi non è
un romanzo lineare. Segue piuttosto l’andamento di una sorta di spirale con le
storie che si avvicinano l’una all’altra più si va avanti. Onde che si
propagano secondo un ritmo netto, in rilievo, preciso, che tradisce la sua derivazione
dalla musica, così come la descrive la stessa Louise Erdrich: “La musica era
qualcosa in più della musica: almeno di quella che siamo abituati ad ascoltare.
La musica era vero e proprio sentimento. Il suono entrava immediatamente in
relazione con qualcosa di profondo e gioioso. Quei momenti straordinari di vera
conoscenza che dobbiamo mascherare con la vita quotidiana. La musica andava al
fondo dei nostri terrori. Cose che avevamo vissuto e non avremmo mai voluto
ripetere. Sbrindellate fantasie, desideri inconfessati, paure, ma anche piaceri
sorprendenti. No, non possiamo vivere così, fino a questo punto. Ma ogni tanto
qualcosa di spezza come il ghiaccio e noi piombiamo nel fiume della nostra
esistenza”. Sono le storie che tengono insieme la vita: sono il collante, sono
l’architettura, sono il territorio comune, l’humus fertile del linguaggio. Non
a caso è più che centrale la figura di Mooshum, lo storyteller che conserva la
memoria perché le storie hanno ripercussioni, si propagano all’infinito e infine
vivono di vita propria. Potrebbe essere un esercizio interessante, quello di
ricostruire l’impossibile albero genealogico che lega tutti i personaggi
attorno alla figura secolare di Mooshum, ma l’anagrafe (qui) è volubile proprio
come le traiettorie dei colombi. Pur nel fragile contesto delle riserve, Louise
Erdrich crea più contee in cui la storia e la vita quotidiana si accavallano,
s’intessono con le leggende che formano la parte vitale, l’anima vera e propria
del romanzo. Gli stessi personaggi si incastrano uno nell’altro come tanti
segmenti che via via si sommano e come una serie di accordi vanno a formare una
sinfonia. E’ questa la ricchezza del racconto: c’è posto per tutta la gamma
delle possibili azioni umane, dalla lotta per la pura e semplice sopravvivenza
nella lunga, intensa sequenza degli uomini imprigionati nella spedizione della
prateria alle colte letture del giudice Coutts, che è un esegeta di Marco
Aurelio. Anche Louise Erdrich sembra essersi essersi ispirata ai suoi Pensieri: “Guarda sotto la superficie: non
lasciarti sfuggire la qualità o il valore intrinseco delle cose”. C’è posto per
tutto, ironia compresa, perché Louise Erdrich ha questa straordinaria capacità
di conservare uno spunto di comicità anche nelle condizioni più drammatiche o
enigmatiche. C’è una lunga scena in cui due dei principali protagonisti,
Geraldine e Joseph, pescano una grossa tartaruga che merita da sola il prezzo
da pagare per Il giorno dei colombi.
Li ritroveremo entrambi in La casa tonda con cui Il giorno dei colombi s’inanella in modo spontaneo,
“camminando sull’aria”, formando una specie di flusso ipnotico: nelle sue
molteplici forme (simbolica, onirica, metaforica) è uno splendido tentativo di
mettere ordine nel caos della vita, e capita soltanto con la grande
letteratura.
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