E’ noto che, dai
Soft Machine ai Nirvana, il legame di William Burroughs con il rock’n’roll è
stato lungo, esteso e proficuo. Gli elementi della simbiosi sono rimasti gli
stessi: la condivisione dello stesso underground, il gusto per lo scarto di
lato, per la provocazione e la ribellione, lo spirito iconoclasta e
irriverente, la lingua dura e tranchant, tutti gli spigoli vivi di un
lucidissimo visionario convinto che “il linguaggio è a tutti gli effetti un
virus che ha raggiunto una condizione di equilibrio con l’organismo ospitante,
e quindi non è avvertito come tale”. E’ questa vitale considerazione che ha
spinto William Burroughs alla ricerca di nuovi legami tra forme d’arte diverse,
per certi versi proiettate in sensi contraddittori. L’origine stessa del
cut-up, la parte più innovativa della sua scrittura, proviene dalle arti
figurative, come racconta in Rock’n’Roll Virus: “Che cosa sono le parole? In che direzione stanno
andando? Il metodo del cut-up tratta le parole come un pittore usa i colori,
materiali grezzi con regole e significati loro propri”. Nell’incontro con la
musica, dove si è sempre confessato ignorante e inadeguato, William Burroughs
aveva visto invece qualcosa “in grado di evocare una situazione del passato, in
modo molto più accurato rispetto, per esempio, a un sottofondo neutro fatto
solo di parole”. Rock’n’Roll Virus raccoglie interviste che, a seconda degli
interlocutori, si rivelano dialoghi dagli esiti imprevisti: David Bowie, Patti
Smith, Blondie, Devo. Molto degli esiti dipende dallo differente spessore dei
convenuti: l’intervista con i Blondie si risolve in una specie di chiacchiera
omnicomprensiva che racchiude opinioni e divagazioni dagli UFO all’assassinio
di Kennedy. Quella con Patti Smith, con William Burroughs che sembra persino in
soggezione, è tutta concentrata sulla protagonista di Horses e sulla sua passione per il rock’n’roll.
Più articolate e interessanti quelle con Robert Palmer e David Bowie, che
trarrà spesso ispirazione dal lavoro di Burroughs. In un modo o nell’altro, la
musica è un punto di partenza: “Quello che mi ha sempre interessato è la
libertà che c’è nelle dissonanze. Mi è sempre piaciuto che la pagina fosse un costringere
liberamente ovvero un
instradare le parole in una nuova partitura che è poi la pagina. Fondamentale è
il tono, senza ombra di dubbio. La scrittura diventa così una partitura di
parole, dove il respiro del corpo e quello della mente si muovono insieme,
proprio come nella buona musica, senza niente di scontato”. Anche nella natura
frammentaria di Rock’n’Roll Virus emerge comunque la personalità di Burroughs: quando
confessa limiti e ambizioni: “E’ questione di raggiungere un grado di
precisione sufficiente. Se sapessi veramente scrivere, potrei realizzare qualcosa che uccidesse
tutti quelli che leggano. Lo stesso vale per la musica e per qualsiasi tipo di
effetto desiderato che si possa produrre sviluppando un sufficiente controllo
sulle proprie conoscenze o su una tecnica specifica”. Sempre validissimo.
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