I due brevissimi racconti, qui accoppiati, ruotano attorno ai
perimetri di altrettante case nelle valli californiane e John Fante, si sa, è
un architetto d’interni molto abile ed efficace nel ricostruire le dimensioni e
l’atmosfera della vita tra le mura domestiche. I rapporti famigliari, sempre
sull’orlo di una crisi di nervi, rendono le cucine, i soggiorni, le camere da
letto dei veri e propri campi minati a cui non c’è trasloco che possa porre
rimedio perché certe ossessioni rimangono sempre nel bagaglio. Il caso dello
scrittore tormentato è da manuale: una coppia crede di aver trovato il suo nido
ideale, anche perché ammette il protagonista “eravamo stanchi di cercare, il
prezzo era alla nostra portata, e a me il posto piaceva pure”. Il problema è
che i precedenti proprietari ormai sono fantasmi che vagano per i corridoi e
sulle scale e la felicità rimane legate all’impressione iniziale, come
riconosce lo scrittore tormentato: “C’era sole, spazio, aria fresca. Qui, pensavo, c’è la
pace; qui mi verranno le parole e le pagine cresceranno una dopo l’altra. E
cominciai a credere a quello che avevo detto fin dal primo momento: che quella
casa l’avessi davvero già vista nei miei sogni. Le parole non vennero, e
nemmeno le idee. Vennero invece i pittori, e i falegnami, perché mia moglie
voleva cambiare la casa dentro e fuori, per cancellare ogni traccia del
passato”. I guai degli spettri sono relativi rispetto a quello che possono fare
gli esseri viventi e infatti quando il padre comincia a invitare gli amici (muratori
come lui) a godersi la cantina l’idillio immobiliare svanisce, e non solo
quello. Lo scrittore si trova spaesato, straniero e in esilio nella sua stessa
casa (“La mia serenità subì gravi intrusioni. Non riuscivo a scrivere”) e come
se non bastasse il trambusto che gli organizza un giorno sì e l’altro pure, il
padre lo smimuisce senza pietà:
“Quello me lo chiami lavoro, la roba che scrivi?”, e il sogno di un posto dove
poter stare evapora per sempre. E’ facile immaginare come finisce Il caso
dello scrittore tormentato che John Fante spiega così: “Per gli scrittori, sonno e
prosa vanno insieme. Se ti viene l’ispirazione, se le pagine funzionano, le
notti sono serene. Se mancano le parole, non si dorme. E quello era un periodo
così. Non riuscivo a dormire”. Per inciso, il padre di Il caso dello
scrittore tormentato non è molto diverso da quello di Sogno di mamma: entrambi non hanno
“praticato la tenerezza” e la loro misantropia non è negoziabile. La vita
imposta dal capofamiglia in Sogno di mamma dipende, più di tutto, dalla qualità della
preparazione dei peperoni, che vuole cotti e cucinati alla perfezione, per cui
il giorno che torna a casa e li trova bruciati si aprono le porte
dell’apocalisse e tutto un mondo viene giù. John Fante è straordinario nel mettere
in cornice le scene fondamentali e anche relegato nell’ambito ridotto delle short stories riesce a illuminare due perle grezze come Il
caso dello scrittore tormentato e Sogno di mamma. Da riscoprire.
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